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Affidamenti in house e lesione dell'interesse

a cura di Federico Smerchinich • apr 18, 2024

TAR Lombardia, Milano, 28.02.2024, n. 536


IL CASO E LA DECISIONE

La decisione in commento è nata da un ricorso, seguito dai motivi aggiunti, con cui una società mista che gestisce i rifiuti ha agito per l’annullamento di una delibera comunale con la quale era stata approvata la revisione del modulo della gestione del servizio rifiuti, con la trasformazione della società partecipata dal Comune da società mista a società in house. Questa trasformazione ha comportato la prosecuzione del servizio, senza incidere sull’affidamento del servizio stesso. Si è trattato, per dirla diversamente, di una riorganizzazione societaria (in riduzione, da società mista a società in house). Tuttavia, per la società ricorrente, tale trasformazione avrebbe leso i propri interessi ad ottenere l’affidamento, tramite gara, del servizio. 

Nel ricorso sono stati fatti valere dei vizi di mancanza di istruttoria e dei requisiti legittimanti il modello in house, nonché l’assenza dei presupposti per l’individuazione del modello gestorio in house.

La società controinteressata ha invece eccepito che il ricorso fosse inammissibile per carenza di interesse ed ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sull’annullamento delle delibere assembleari e degli atti associativi.

A fronte di tali deduzioni, Il TAR, innanzitutto, ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la partecipazione degli enti pubblici nelle società è, ai sensi dell’art. 7 d.lgs. n. 175/2016, decisa con deliberazione del consiglio comunale prodromica alle scelte assembleari. Ne consegue che i soggetti che si ritengono lesi da dette delibere sono titolari di un interesse legittimo, il che radica la giurisdizione presso il giudice amministrativo. 

Ritenuta la sua giurisdizione, il TAR ha valutato come improcedibile il ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse, mentre ha ritenuto inammissibile il ricorso per motivi aggiunti per preesistente carenza di interesse all’impugnazione.

Per arrivare a tale soluzione, il TAR ha svolto una interessante ricostruzione del quadro normativo, che è da tenere presente, perché utile alle amministrazioni pubbliche e alle società private che si trovano a gestire affidamenti in house sia in sede procedimentale, sia processuale.

Il TAR ha premesso che, in passato, la legislazione e la giurisprudenza avevano riconosciuto che la costituzione di una società per la gestione del servizio pubblico assorbiva anche la fase dell’affidamento del servizio medesimo, per cui una volta deliberata la costituzione della società partecipata dal comune per la gestione di un certo servizio, non era necessario un ulteriore atto di affidamento della gestione in concessione.

Il d.lgs. n. 201/2022, ora, ha procedimentalizzato l’intera procedura di affidamento, costituendo una fattispecie a formazione progressiva, dove la costituzione della società deve essere preceduta dalla scelta della forma di gestione. Quindi, un atto è la scelta della tipologia di gestione (art. 14 d.lgs. n. 201/2022); altro atto è l’affidamento (art. 17 d.lgs. n. 201/2022) del servizio che completa il procedimento. Diversità di atti confermata dalla necessità di loro pubblicazione sul sito dell’ente e comunicazione all’ANAC ai sensi dell’art. 31 d.lgs. n. 201/2022.

La sentenza ha evidenziato allora una ricostruzione della differenza tra motivazione nel caso di affidamento in house sopra soglia di cui all’art. 17 d.lgs. n. 201/2022 e altre forme di gestione la cui motivazione (unica) è da rinvenire nell’art. 14 d.lgs. n. 201/2022.

La dicotomia tra gli atti, delibera sulla scelta di gestione e delibera di affidamento, ha riflessi anche sul fronte processuale.

Infatti, la lesività e l’impugnabilità deve essere valutata con riferimento a ciascuno dei due atti. 

Secondo il TAR, la scelta del modello di gestione (in house piuttosto che società mista o gara verso terzi) sarebbe sindacabile solo nel momento in cui la società mista è posta in grado di operare sul mercato con l’atto di affidamento del servizio, in quanto solo in quel momento si andrebbe a creare un danno concorrenziale per gli altri operatori economici del settore. I giudici hanno ritenuto che sia l’art. 17 comma 2 d.lgs. n. 201/2022 a confermare questa lettura.

Interessante, poi, il riferimento della sentenza al ruolo della Corte dei Conti a cui (solamente) spetta il controllo sulla correttezza degli atti di acquisizione di partecipazione o costituzione delle società, a conferma che la lesività di tali atti deve essere mediata da un atto quale è l’affidamento del servizio che li fa incidere sull’interesse legittimo degli operatori economici del settore.

Infine, il TAR ha precisato che, in sede di impugnazione dell’atto di affidamento del servizio, potranno essere poi sollevati motivi di impugnazione anche nei confronti degli atti costitutivi della società in house. Infatti, la dicotomia temporale tra la fase di scelta del modello di gestione e quella di affidamento non può essere utilizzata per evitare il controllo giurisdizionale sull’intera procedura pubblicistica di affidamento. 

Quindi, il TAR ha ritenuto inammissibile il ricorso, perché orientato ad impugnare gli atti relativi alla costituzione (o meglio alla riorganizzazione) della società in house, ma senza che siano stati seguiti dall’affidamento della concessione, invero già in essere a favore della società trasformata. In altre parole, non vi sarebbe stata alcuna lesione per l’impresa ricorrente, perché non vi è stata nuovo affidamento della prestazione e, quindi, non vi è stata alcuna lesione. 


IL MOMENTO DELL'IMPUGNAZIONE DEGLI ATTI E LA FATTISPECIE A FORMAZIONE PROGRESSIVA

Dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 201/2022, in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, e del d.lgs. n.36/2023, cioè il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, la materia degli affidamenti in house sta vivendo una nuova stagione. 

Difatti, il d.lgs. n. 201/2022 ha procedimentalizzato l’affidamento in house nei servizi pubblici di rilevanza economica, prevedendo tutti gli atti necessari a perseguire l’affidamento in autoproduzione come modello ammesso, benché residuale rispetto alla gara pubblica per la selezione dell’affidatario o alla gara a doppio oggetto per la costituzione di una società mista. Dall’altra parte, l’art. 7 d.lgs. n. 36/2023 prevede che l’affidamento in house sia una modalità alternativa di affidamento della commessa pubblica.

Il tema maggiormente discusso in giurisprudenza attiene alla presenza dei requisiti per procedere con l’affidamento in house, alla legittimazione processuale per contestare detta tipologia di affidamento, nonché all’individuazione del primo atto lesivo ai fini della procedibilità del ricorso. Interessante in materia la sentenza di primo grado in commento, perché, partendo dal dato normativo, parrebbe precisare un aspetto non sempre chiaro agli interpreti e agli utenti. 

La sentenza del TAR Lombardia costituisce un precedente da esaminare soprattutto perché sviluppa un argomento rilevante in materia di ammissibilità dell’impugnazione degli atti di un affidamento in house.

Come visto, il TAR parte dal disposto normativo di cui al d.lgs. n. 201/2022 e afferma che esistono due momenti del procedimento di affidamento in house. Il primo, regolato dall’art. 14 d.lgs. n. 201/2022, è quello della scelta della forma di gestione da perseguire, sia essa in house, società mista o affidamento a terzi tramite gara. Il secondo è quello dell’affidamento vero e proprio disciplinato dall’art. 17 d.lgs. n. 201/2022

La tesi del TAR è che senza l’atto di affidamento previsto dall’art. 17 non vi può essere lesione, perché la società in house non è, in concreto, divenuta ancora affidataria del servizio e, quindi, non vi è stato affidamento in via diretta e la sottrazione della prestazione dal mercato senza gara.

Una tesi che si colloca bene nell’ambito della vicenda decisa, dove una società, già affidataria del servizio perché società mista, si trasforma in società in house, rimanendo pur sempre affidataria del servizio originario fino alla sua naturale scadenza, ma che legittima alcuni interrogativi, se posta a livello assoluto.

Secondo il TAR, da tale successione di fatti non vi sarebbe alcuna lesione per le imprese operative sul mercato, perché, già prima della trasformazione societaria, quella prestazione era stata “sottratta” al mercato tramite la procedura ad evidenza pubblica a doppio oggetto propedeutica ad individuare il socio privato della società mista. 

Sul punto, però, si ritiene di fare un chiarimento.

Nel caso di specie, se, per ipotesi, agli atti impugnati, relativi all’organizzazione della società in house, fosse seguito un nuovo atto di affidamento del servizio (art. 17 d.lgs. n. 201/2022), tale atto avrebbe potuto essere impugnato con motivi aggiunti. In questo caso, l’interesse al ricorso sarebbe esistito e il TAR avrebbe dovuto sindacare l’atto di affidamento, così come gli atti costitutivi della società in house

In questa ipotesi, l’impugnazione degli atti di affidamento in house avrebbe dovuto essere preceduta dalla contestazione degli atti che avevano portato l’ente a scegliere la modalità di affidamento in house stesso (art. 14 d.lgs. n. 201/2022), perché presupposto necessario dell’affidamento del contratto. 

Altrimenti ragionando, non avrebbe senso il disposto dell’art. 14 d.lgs. n. 201/2022 (in passato art. 34 comma 20 d.l. n. 179/2012) che richiede una relazione sulle ragioni della scelta. Infatti, questa relazione serve proprio per verificare se la scelta del tipo di gestione sia conforme alla situazione ed al contesto di riferimento. E dovrebbe ritenersi subito impugnabile. In tal senso, anche la richiesta di sua pubblicazione sembrerebbe volta a farne verificare immediatamente la legittimità.

In merito alla serie di atti da impugnare, prima del d.lgs. n. 201/2022, il Consiglio di Stato aveva avuto modo di affermare che: “La lesione della sfera giuridica del gestore uscente si è avuta non appena il comune (sia con la delibera giuntale n. 111 del 22 luglio 2020 che con quella consiliare n. 40 del 10 settembre 2020) si è univocamente e chiaramente determinato nel senso di affidare il servizio di igiene urbana alla società in house, acquistando le relative azioni. Ebbene, in quel preciso istante il gestore uscente ha avuto la piena e immediata percezione della capacità lesiva offerta dei provvedimenti assunti dal Comune, univocamente indirizzati alla precipua finalità di procedere per l'affidamento in house del servizio, abbandonando ogni volontà di procedere mediante gara ad evidenza pubblica. In altri termini, una volta adottate le delibere in questione, agli originari ricorrenti (gestore uscente) era ormai preclusa ogni possibilità di aspirare a partecipare ad una gara, atteso che la scelta del Comune era ormai già chiara, precisa, univoca e concordante nel senso di non ricorrere al mercato bensì di procedere in house.” (Cons. Stato, Sez. IV, 19/10/2021, n. 7022). 

Con questa sentenza era stata riformata la sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 23.03.2021, n. 281 che aveva a sua volta affermato: “Costituisce, invero, condizione dell'azione nell'ambito del processo amministrativo l'interesse a ricorrere, ovverosia l'utilità, anche di natura morale o residuale, che il ricorrente aspira a ottenere attraverso l'esercizio della azione giudiziaria. Detto interesse sorge nel momento in cui la lesione arrecata al bene della vita protetto dall'ordinamento si manifesta come diretta e attuale (cfr., ex plurimis, T.A.R. Piemonte, Sez. I, sentenza n. 765/2020; C.d.S., Sez. VI, sentenza n. 6489/2020). Nel caso di specie, il bene della vita cui le società odierne ricorrenti aspirano è lo svolgimento di una gara per l'individuazione del contraente privato a cui appaltare il servizio di gestione dei rifiuti, e rispetto a tale interesse la lesione si è concretizzata solamente con l'adozione della deliberazione consiliare di affidamento del servizio medesimo alla società S.C. S.p.A.. Dunque, è da tale momento che decorreva il termine decadenziale di esercizio dell'azione di annullamento.”

Quindi, per la sezione staccata di Brescia, era da considerarsi tempestivo un ricorso che impugnava solo la delibera di affidamento del servizio, mentre per il Consiglio di Stato tale ricorso era da ritenersi tardivo perché non aveva contestato la scelta a monte verso il modello in house.

Ciò, per dire che in materia non è presente un orientamento effettivamente dominante e che quanto si afferma sono solo delle constatazioni di ordine pratico. 

Eppure, come ben spiegato nella sentenza del TAR Lombardia in commento, esistono due momenti del procedimento a formazione progressiva di affidamento in house che dovrebbero essere considerati ai fini dell’impugnazione. Ma se così effettivamente è, allo stesso modo si dovrebbe considerare a “formazione progressiva” anche l’attività processuale del ricorrente.

Laddove, infatti, venisse impugnato l’affidamento (atto dell’art. 17 d.lgs. n. 201/2022), ma non la scelta a monte dell’ente (art. 14 d.lgs. n. 201/2022), potrebbe eccepirsi che il ricorso sia inammissibile, perché l’atto a monte, che determinava la scelta dell’ente, si è consolidato senza essere stato impugnato e la scelta di non ricorrere alla gara sarebbe ormai preclusa, salvo cambio di indirizzo espresso dell’ente pubblico.

Quando, invece, venisse impugnato l’atto a monte che orienta l’ente verso la gestione in house, senza che sia contestato l’atto di affidamento del servizio, si potrebbe eccepire una mancanza originaria di interesse (laddove, come nel caso di specie, non vi è nessun nuovo affidamento), o una sopravvenuta carenza di interesse (laddove l’atto di affidamento sia intervenuto ma non è stato censurato).

Ma in entrambi in casi ci si porrebbe il problema di capire quando effettivamente è stato leso in concreto l’interesse dell’impresa.

Tornando al caso in commento, per fare un ragionamento in termini concreti, ci si dovrebbe chiedere se c’è un modo per contestare la scelta dell’ente pubblico di consentire la prosecuzione del servizio tramite una gestione in house da parte di un soggetto che era una società mista. In altre parole, può avvenire una prosecuzione in via diretta in house della gestione del servizio affidato inizialmente tramite gara pubblica, senza che le imprese di quel mercato possano fare niente?

Alla luce di questa sentenza parrebbe darsi risposta affermativa. Ma, allora, se viene preclusa la possibilità di sindacare gli atti al TAR, perché non c’è interesse dell’impresa, l’unico modo di verificare la tenuta della società in house potrebbe essere quella del giudizio davanti alla Corte dei Conti, che dovrebbe verificare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 16 d.lgs. n. 175/2016.

Tuttavia, si nutrono dei dubbi sull’impossibilità per l’impresa di tentare di dimostrare davanti al TAR la non legittimità della scelta sulla prosecuzione del servizio in house, invece che con società mista. D’altronde, il Consiglio di Stato, recentemente, sebbene in un caso diverso, ha ravvisato l’interesse al ricorso (in maniera ampia) sul fatto che il ricorrente “potrebbe comunque confidare anche in un parallelo cambio di indirizzo politico-amministrativo da parte degli organi preposti i quali, data la complessità dell’operazione legata alla costituzione di un soggetto in house, potrebbero a quel punto ritenere maggiormente conveniente, in termini tecnici ed economici, rivolgersi al mercato di riferimento settoriale piuttosto che riavviare l’impresa di costituire un nuovo e diverso soggetto in house.” (Cons. Stato, Sez. V, 27.07.2023, n. 7348).

Solo il consolidarsi degli orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul punto ci potrà fornire delle risposte definitive.


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