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Abitazione principale, esenzione IMU e nucleo familiare

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • ott 27, 2022

Corte costituzionale, 13 ottobre 2022, n. 209


Sulla questione dell’esenzione IMU per i nuclei familiari i cui coniugi abbiano stabilito la residenza in due distinti immobili, sia nello stesso comune che in comuni diversi, la Corte di Cassazione aveva raggiunto una posizione univoca: dato il principio che l’interpretazione delle norme di agevolazione fiscale deve essere necessariamente rigorosa, e chiarito che non si dovevano confondere i concetti di “dimora abituale” e di “abitazione principale” - in quanto questa seconda nozione sottintende una preponderanza della destinazione rispetto ad altre, pur possibili, soluzioni abitative, alla luce della regola di esperienza per cui per ogni nucleo familiare non può esservi che una sola abitazione principale -, aveva affermato che quando i coniugi stabilivano la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi, l’aliquota e la detrazione per l’abitazione principale e per le relative pertinenze dovevano essere uniche per nucleo familiare, indipendentemente dalla dimora abituale e dalla residenza anagrafica dei rispettivi componenti, perché solo uno degli immobili può beneficiare delle agevolazioni per l’abitazione principale (da ultimo, Cassazione Civile, sez. V, 17 gennaio 2022, n. 1199, già commentata in questa sezione).

Ma con la sentenza qui segnalata la Corte costituzionale ha osservato che siffatta “interpretazione produce l’effetto che sino a che non avviene la costituzione del nucleo familiare ciascun possessore di un immobile che vi risiede anagraficamente e vi dimori abitualmente può fruire pacificamente dell’esenzione IMU sull’abitazione principale, anche se unito in una convivenza di fatto: i due partner in tal caso avranno diritto a una doppia esenzione, perché ciascuno di questi potrà considerare il rispettivo immobile come abitazione familiare”. E che la “scelta di accettare che il proprio rapporto affettivo sia regolato dalla disciplina legale del matrimonio o dell’unione civile” determina “l’effetto di precludere la possibilità di mantenere la doppia esenzione anche quando effettive esigenze, come possono essere in particolare quelle lavorative, impongano la scelta di residenze anagrafiche e dimore abituali differenti”.

Ebbene, la Corte ha affermato che “nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile”.

L’articolata pronuncia ha anzitutto considerato che tale agevolazione fiscale, esentando le abitazioni principali dei residenti dalla più importante imposta municipale, determina un effetto poco lineare rispetto ai principi che giustificano l’autonomia fiscale locale, in quanto gran parte dei residenti di un comune è esentata dall’imposta e questa finisce per risultare a carico di chi non vota nel comune che la stabilisce. Essa pertanto è un’agevolazione riconducibile a una scelta rimessa alla mera discrezionalità del legislatore e richiede perciò “un sindacato particolarmente rigoroso sulla sussistenza di una eadem ratio”.

E' stato poi ricostruito il complesso quadro normativo, rilevando che il riferimento al nucleo familiare non era presente nell’originaria disciplina IMU (art. 8 del d.lgs. n. 23 del 2011 e art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011) e che è stato introdotto, ai fini di individuare l’immobile destinatario dell’agevolazione, con l’art. 4, comma 5, lettera a), del d.l. n. 16 del 2012 (il quale ha così integrato l’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011: “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”). Tale disciplina è stata poi confermata dalla l. n. 147 del 2013 (che ha reintrodotto la completa esenzione dell’abitazione principale per tutte le categorie catastali abitative tranne per quelle classificate nelle categorie A/1, A/8 e A/9) e ribadita col comma 741, lettera b), dell’art. 1 della l. n. 160 del 2019 (cosiddetta “nuova IMU” sostanzialmente comprensiva anche del tributo sui servizi indivisibili - TASI). Da ultimo, con l’art. 5 decies, comma 1, del d.l. n. 146 del 2021 è stato integrato l’art. 1, comma 741, lettera b), della l. n. 160 del 2019 prevedendo che “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare”.

In definitiva, la Corte delle leggi ha rilevato che vi è stato un passaggio da una situazione oggettiva (la residenza e la dimora abituale del possessore dell’immobile prescindendo dal suo status (singolo, coniugato, convivente) al rilievo dato a un elemento soggettivo (la relazione del possessore dell’immobile con il suo nucleo familiare). E che l’introduzione di questo elemento soggettivo si è risolta in “una radicale penalizzazione dei possessori di immobili che hanno costituito un nucleo familiare, i quali, se residenti in comuni diversi, si sono visti escludere dal regime agevolativo entrambi gli immobili che invece sarebbero stati candidati a fruirne con la originaria formulazione prevista nel d.lgs. n. 23 del 2011”.

E nell’attuale contesto sociale¸ caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile che concordano di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente e rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale. In tali casi, ai fini del riconoscimento dell’esenzione dell’abitazione principale, non ritenere sufficiente la residenza e la dimora abituale in un determinato immobile determina un’evidente discriminazione rispetto a chi, in quanto singolo o convivente di fatto, si vede riconosciuto il suddetto beneficio al semplice sussistere del doppio contestuale requisito della residenza e della dimora abituale nell’immobile di cui sia possessore.

Ne deriva che tale discriminazione è costituzionalmente illegittima perché in contrasto con:

- l’art. 3 Cost., perché se la logica dell’esenzione dall’IMU è quella di riferire il beneficio fiscale all’abitazione in cui il possessore dell’immobile ha stabilito la residenza e la dimora abituale, deve risultare irrilevante il suo essere coniugato, separato o divorziato, componente di una unione civile, convivente o singolo; per cui la disciplina di situazioni omogenee in modo ingiustificatamente diverso contrasta con il principio di eguaglianza nella parte in cui introduce il riferimento al nucleo familiare nel definire l’abitazione principale;

- l’art. 31 Cost., perché ricollega l’abitazione principale alla contestuale residenza anagrafica e dimora abituale del possessore e del nucleo familiare, secondo una logica che ha condotto il diritto vivente a riconoscere il diritto all’esenzione IMU (o alla doppia esenzione) solo in caso di frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi e conseguente disgregazione del nucleo familiare;

- l’art. 53 Cost., perché l’IMU è un’imposta reale (che ha come presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di altro diritto reale in relazione a beni immobili) e non personale, per cui è irrilevante la relazione del soggetto con il suo nucleo familiare e, dunque, lo status personale del contribuente.

Da ciò la dichiarazione di illegittimità costituzionale del quarto periodo del comma 2 dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, nella parte in cui stabilisce che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”, anziché disporre che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”. E, in via consequenziale, delle seguenti ulteriori disposizioni: - il quinto periodo del medesimo comma 2 dell’art. 13 ove si stabilisce che “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”; - il primo periodo della lettera b) del comma 741, dell’art. 1 della l. n. 160 del 2019 dove, per la cosiddetta nuova IMU, è stata ripetuta la precedente disciplina; - il secondo periodo della lettera b) del medesimo comma 742 dell’art. 1, anche come successivamente modificato dall’art. 5 decies, comma 1, del d.l. n. 146 del 2021. Infatti, queste ultime disposizioni, consentendo ai contribuenti la scelta sull’individuazione dell’unico immobile da esentare, disancorano, ancora una volta, la spettanza del beneficio dall’effettività del luogo di dimora abituale, negando così una doppia esenzione per ciascuno degli immobili nei quali i coniugi o i componenti di una unione civile abbiano avuto l’esigenza, in forza delle necessità della vita, di stabilirla, assieme, ovviamente, alla residenza anagrafica.

È però alquanto significativa la chiusa della sentenza in esame: “le dichiarazioni di illegittimità costituzionale pronunciate valgono a rimuovere i vulnera agli artt. 3, 31 e 53 Cost. imputabili all’attuale disciplina dell’esenzione IMU con riguardo alle abitazioni principali, ma non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette «seconde case» delle coppie unite in matrimonio o in unione civile ne possano usufruire. Ove queste abbiano la stessa dimora abituale (e quindi principale) l’esenzione spetta una sola volta”.

Difatti, la sentenza ha preso atto che la costruzione del diritto vivente dichiarato incostituzionale era sorta con intenti antielusivi stante il notorio “rischio che le cosiddette seconde case vengano iscritte come abitazioni principali”. Obiettato che tale rischio esiste anche per i conviventi di fatto, la Corte ha evidenziato che “i comuni dispongono di efficaci strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 10, lettera c), punto 2, del d.lgs. n. 23 del 2011, anche l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dai quali si può riscontrare l’esistenza o meno di una dimora abituale”. Comuni che sono pertanto chiamati e responsabilizzati a effettuare i controlli in termini efficaci.


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