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Violenza assistita e maltrattamenti in famiglia

lug 27, 2022

Tribunale di Torino, sezione dei Giudici per le indagini preliminari, 11/04/2022, n. 442


IL CASO

Un soggetto viene processato con rito abbreviato per il reato di maltrattamenti nei confronti della propria moglie e della propria figlia minore di età; il delitto di cui è persona offesa la moglie risulta aggravato dall’avere commesso il fatto in presenza di persona minore (ovvero, la figlia stessa).

Le singole condotte, a cui spesso aveva assistito la ragazzina, erano consistite, secondo l’accusa, in insulti, accuse, distruzione ingiustificata di mobili e suppellettili, violenza fisica, urla e comportamenti costantemente aggressivi, oltre che in continue richieste di denaro e prelievo clandestino di soldi ai danni delle persone offese.

Il GUP ha ritenuto accertata la responsabilità penale dell’imputato, in quanto la ricostruzione dei fatti offerta dalle persone offese era stata indirettamente riscontrata non solo dal tenore delle relazioni dei servizi sociali che avevano in carico il nucleo familiare ma, altresì, dalle dichiarazioni sostanzialmente ammissive rese dall'imputato in sede di interrogatorio.

Dal punto di vista della qualificazione giuridica, le condotte perpetrate dall’imputato, essendo consistite in plurime e insistite offese, oltre che in reiterate compromissioni dell'integrità morale e fisica delle vittime, sono state considerate interamente sussumibili nel delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 572 c.p. (maltrattamenti ai danni di più persone), ravvisandosi tutti i requisiti della suddetta norma incriminatrice:

- l'abitualità delle condotte (reiterate nel tempo e protrattesi, con cadenza costante e pressoché quotidiana, per un significativo e apprezzabile periodo di tempo);

- l'obiettiva lesività di tali comportamenti e la loro capacità di determinare uno stato di avvilimento e sopraffazione nelle persone offese;

- l'unitarietà del dolo, essendo i vari atti lesivi sorretti da un dolo unitario e da una volontà tesa ad instaurare un regime di vita vessatorio, con continue sofferenze e mortificazioni per la moglie e la figlia conviventi.

Il Tribunale di Torino ha ritenuto trattarsi, nel caso di specie, non di episodi singoli e sporadici ma piuttosto di condotte seriali, concatenate e legate da un dolo unitario, suscettibili di determinare, come riferito in modo credibile dalle vittime, una condizione esistenziale connotata da costante ansia e timore.

Il fatto poi che gli episodi aggressivi si siano alternati, di tanto in tanto, con momenti di "normalità", non ha avuto rilievo nella decisione finale, in quanto, per l’integrazione del delitto di maltrattamenti in famiglia non è necessario che gli atti “lesivi”, delittuosi o meno, vengano posti in essere per un tempo prolungato, ma è invece sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo.

Infine, il GUP ha ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti anche nei confronti della minore, a guisa di violenza assistita, dal momento che la ragazzina è stata lei stessa vittima delle condotte tenute dal padre, essendo stata costretta a convivere in un contesto familiare caratterizzato dall'impiego sistematico, all'interno dell’abitazione coniugale, di violenza morale nei confronti della madre.

Tale situazione era stata non solo percepita distintamente dalla minore, ma anche avvertita da lei come condizionante, e risultata al fine peggiorativa della sua già fragile condizione psico-fisica; si è così determinata quella particolare ipotesi di maltrattamenti consistente in comportamenti vessatori non rivolti direttamente in danno di un figlio minore, ma che lo coinvolgono indirettamente, come involontario spettatore delle condotte poste in essere nei riguardi di altri componenti della famiglia, a condizione che sia stata accertata l'abitualità delle condotte e che le stesse siano idonee ad incidere sull'equilibrio psicofisico dello spettatore passivo.

Il REATO E L’AGGRAVANTE

Il delitto di maltrattamenti in famiglia è un delitto abituale, in quanto il significato stesso del termine “maltrattare” – verbo usato nella costruzione della condotta dal legislatore – indica un comportamento che non si consuma con un unico atto offensivo ma che tende a perpetuarsi in un arco temporale più o meno lungo.

In altri termini, le vessazioni fisiche o morali a cui viene sottoposta “una persona della famiglia o comunque convivente” devono essere plurime e reiterate nel tempo.

Recentemente, la Corte di Cassazione ha precisato che l'abitualità nel reato di maltrattamenti in famiglia può essere integrata anche nel caso di più atti, delittuosi o meno, che vengano posti in essere in un lasso temporale non necessariamente prolungato, a condizione che la protrazione della condotta sia comunque idonea a dar luogo ad uno stato di vessazione e soggezione dei familiari conviventi della vittima del reato.

La durata complessiva dell'arco temporale entro il quale si manifestano le condotte maltrattanti è dunque un dato tendenzialmente neutro ai fini della configurabilità del reato, fermo restando che, se la convivenza si è protratta per un periodo limitato, occorrerà che i maltrattamenti siano posti in essere in maniera continuativa e ravvicinata.

In definitiva, secondo i giudici di legittimità, tanto più è ridotto il periodo della convivenza, tanto maggiore deve essere la ripetitività ed offensività delle condotte maltrattanti, affinché si ritenga instaurato quel clima di abituale vessazione della persona offesa che costituisce l'elemento tipico del reato in esame.

Al secondo comma, l’art. 572 del codice penale prevede una circostanza aggravante speciale (“La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore (…)”) che lambisce il concetto giurisprudenziale di “violenza assistita”.

In pratica, la presenza del minore degli anni diciotto agli episodi di maltrattamenti (anche soltanto ad uno degli episodi) comporta un aumento di pena, a cui si affianca, per espressa disposizione del legislatore penale, la qualificazione del minore “spettatore” come persona offesa dal reato (art. 572, ultimo comma, c.p.).

Si tratta di circostanza aggravante che è stata introdotta dalla L. n 69 del 2019 (“Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”), e che ha inserito nella specifica sede del reato di maltrattamenti analoga circostanza in precedenza prevista (per ciò che concerneva anche il reato di maltrattamenti) come circostanza comune dall’art. 61 n. 11-quinquies del codice penale.

Tale circostanza aggravante si distingue peraltro in modo sostanziale dalla diversa e limitrofa ipotesi della “violenza assistita”, che consiste invece nella realizzazione tout court del reato di maltrattamenti in danno di un minore.

Nel primo caso, non è necessario che gli atti di violenza posti in essere alla presenza del minore rivestano il carattere dell'abitualità, essendo sufficiente che egli assista ad uno dei fatti che si inseriscono nella condotta costituente reato; nel secondo caso, il delitto di maltrattamenti non solo viene commesso alla presenza del minore in maniera abituale, ma quest'ultimo risente e soffre, seppure indirettamente, delle conseguenze di quelle vessazioni fisiche e psichiche.

Occorre, in altri termini, per integrare il concetto giurisprudenziale di “violenza assistita” (anche definibile come di maltrattamenti indiretti o di “violenza percepita”), la prova sia del fatto che il minore abbia abitualmente presenziato ai comportamenti vessatori, sia della circostanza che lo stato di sofferenza psico-fisica manifestato dai minori dopo i fatti sia stato cagionato proprio dall'aver assistito agli episodi di contrasto tra genitori, e non da altri fattori esterni, seppure connessi alle vicende familiari in senso lato.

Occorre al riguardo ricordare che l'elaborazione della figura della "violenza assistita" o "indiretta" è stata il punto d'approdo di una evoluzione giurisprudenziale il cui incipit è costituito dalla decisione con cui la giurisprudenza di legittimità, dopo aver ribadito che l'oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall'art. 572 c.p. non è - o non è solo - l'interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori o violenti, ma anche la difesa della incolumità fisica o psichica dei suoi membri e la salvaguardia dello sviluppo della loro personalità nella comunità familiare, ha affermato che la condotta incriminata dall'art. 572 c.p. ricomprende non solo la violenza fisica, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, anche se consistenti in atti che, di per sé, non costituiscono reato, aggiungendo che la stessa può essere posta in essere tramite condotte omissive di deliberata indifferenza verso elementari bisogni assistenziali e affettivi di una persona, sempre che siano sorrette dal dolo e che da tali omissioni derivi, inequivocabilmente, uno stato di sofferenza per la vittima.

Sulla base di questi presupposti e sul rilievo dei consolidati esiti degli studi scientifici concernenti gli effetti negativi sullo sviluppo psichico del minore costretto a vivere in una famiglia in cui si consumino dinamiche di maltrattamento, si è affermato dunque che la condotta di colui che compia atti di violenza fisica contro la convivente integra il delitto di maltrattamenti anche nei confronti dei figli, in quanto lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche dal clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo.

D’altra parte, la Corte di Cassazione ha anche precisato, recentemente, che, se è vero che il reato di maltrattamenti è configurabile anche nei confronti di un infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull'equilibrio psicofisico dello stesso, la tenera età del minore (che abbia ad esempio pochi mesi) può costituire un elemento che consente di escludere che l’infante stesso possa aver in qualche modo percepito il contesto ambientale e le condotte vessatorie.



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