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Valutazione comparativa e adeguata motivazione: dal CSM al Consiglio di Stato, andata e ritorno

Federico Smerchinich e Roberto Lombardi • feb 18, 2022

Le nomine dei vertici della Corte di Cassazione, dopo Consiglio di Stato, Sez. V, 14.01.2022, nn. 267-268


LE SENTENZE (a cura di Federico Smerchinich)

Ha fatto molta eco la notizia secondo cui il Supremo Consesso della giustizia amministrativa avrebbe di fatto "sconfessato" la scelta operata dal CSM con riferimento ai magistrati ritenuti idonei a ricoprire i due posti direttivi apicali della Corte di Cassazione. 

Nello specifico, uno dei candidati esclusi dall'incarico di vertice messo a bando ha contestato la legittimità delle nomine, ponendo in discussione le valutazioni fatte dall’Organo di autogoverno della magistratura ordinaria e le conclusioni a cui esso è addivenuto alla luce di dati esperienziali, qualitativi e temporali che avrebbero dovuto portare ad altri esiti.

In questa sede, è interessante vedere in sintesi quale è il contenuto di queste decisioni e capire la loro portata, anche alla luce del fatto che, recentemente, il CSM ha riesercitato il proprio potere, confermando, con diversa motivazione, le due nomine censurate dal Consiglio di Stato.


Il fatto e le decisioni

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nell’ambito di una procedura comparativa tra diversi candidati, ha scelto con voto unanime della Commissione due nomi per ricoprire due importanti incarichi direttivi presso la Corte di Cassazione: Primo Presidente della Corte di Cassazione e Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione. In sede di plenum, poi, tali incarichi sono stati confermati, questa volta non più all’unanimità. 

Avverso dette delibere, ha proposto ricorso al TAR Lazio un altro magistrato, che aspirava agli incarichi direttivi di cui sopra. In primo grado, tuttavia, i ricorsi sono stati respinti.

Non soddisfatto della decisione, il magistrato escluso dalla nomina ha appellato le sentenze del TAR Lazio, deducendo una serie di motivi volti a colpire, in particolare, l’agire discrezionale del CSM che, a suo dire, avrebbe erroneamente interpretato la norma del d.lgs. n. 160/2006 sul conferimento di funzioni e scorrettamente applicato alcune disposizioni del testo unico sulla dirigenza giudiziaria; l'Organo di autogoverno sarebbe inoltre incorso in un manifesto eccesso di potere, fornendo una motivazione carente.

Il Consiglio di Stato, nel procedere all'esame dei ricorsi, si è soffermato inizialmente sulle questioni di rito, ritenendo ammissibili i gravami e rigettando le eccezioni sulla non specificità dei motivi di appello, sull’impossibilità di sindacare il merito amministrativo della scelta del CSM e sulla mancata contestazione della valutazione espressa dal CSM stesso. 

Superati tali aspetti preliminari, il giudice di secondo grado è entrato nel merito della vicenda, ritenendo fondati i gravami. 

Difatti, sono stati accolti i motivi volti a censurare il procedimento valutativo e motivazionale posto in essere dal CSM, nonché l’utilizzo dei criteri di cui al testo unico della dirigenza giudiziaria.

In particolare, il candidato escluso dalle nomine aveva contestato al CSM di avere trascurato gli indicatori di professionalità: non sarebbe stato correttamente valorizzato il fatto che l'interessato aveva esercitato le funzioni di legittimità per più tempo rispetto ai magistrati nominati; vi sarebbe stato un errore nel valutare le esperienze giudiziarie ed ordinamentali dei controinteressati, così come non sarebbe stato valorizzato il numero di sentenze, redatte in veste di estensore in Sezioni Unite dal magistrato "perdente", che risulta oggettivamente maggiore rispetto a quelle dei magistrati nominati; infine, il CSM avrebbe errato nell’individuare i requisiti preferenziali per accedere alla nomina.

Nel dettaglio, l’appellante ha dedotto che sarebbe stato dato maggiore valore all’esperienza come Presidente della Sezione filtro della Corte di Cassazione, cioè una Sezione priva di potere nomofilattico, o come componente del CSM, rispetto alle funzioni ordinamentali ed organizzative svolte dall'appellante stesso presso le Sezioni nomofilattiche o l’Ufficio del Massimario. Infine, è stata censurata la circostanza secondo cui non sarebbe stata svolta alcuna disamina incrociata tra i candidati rispetto ai profili e criteri indicati nel testo unico sulla dirigenza giudiziaria.

Il Consiglio di Stato, prima di esporre i motivi della sua decisione, favorevole al ricorrente in primo grado, si è soffermato sulla descrizione del quadro giuridico di riferimento, evidenziando che il testo unico sulla dirigenza giudiziaria è da ritenersi un atto amministrativo di autovincolo nella futura esplicazione della discrezionalità, e non  un atto normativo in senso stretto (1). Di conseguenza questo testo non porrebbe delle vere e proprie norme, ma piuttosto dei criteri per l’esercizio della discrezionalità, con la conseguenza che non potrebbe ravvisarsi alcuna violazione di legge, ma uno eventuale scostamento dai criteri anzidetti. 

Dopodiché, il giudice di secondo grado ha analizzato le disposizioni del testo unico che vengono in rilievo nel caso di specie e come le stesse devono essere interpretate, puntualizzando, però, che il CSM gode di ampia discrezionalità amministrativa, in quanto compie scelte che possono essere sindacate solo per irragionevolezza, omissione, travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione. Pertanto, non è l’opportunità che deve essere giudicata in tale sede, ma la legittimità estrinseca delle nomine effettuate.

Entrando in media res dell’attività valutativa svolta dal CSM, e soprattutto della motivazione fornita a suffragio della scelta, il Consiglio di Stato ha concluso che il giudizio espresso dall’organo di autogoverno della magistratura risulta manifestamente irragionevole e carente nella parte motiva rispetto ad alcuni indicatori, in particolare lettera a) e b), di cui all’art. 21 del testo unico della dirigenza giudiziaria. Ricordiamo che questa disposizione prevede: “Indicatori specifici per gli Uffici direttivi giudicanti di legittimità 1. Costituiscono specifici indicatori di attitudine direttiva per il conferimento degli incarichi direttivi giudicanti di legittimità: a) l’adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi anche se non continuativi; b) la partecipazione alle Sezioni Unite; c) l’esperienza maturata all’ufficio spoglio; d) l’esperienze e le competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, anche con riferimento alla presidenza dei collegi.

Andando con ordine, sul criterio sub a), relativo alla permanenza nelle funzioni di legittimità, il magistrato escluso risulta avere un’esperienza più lunga rispetto ai magistrati nominati. Quanto al criterio sub b), l’appellante ha preso parte, sia come consigliere che come presidente, ad un numero di provvedimenti maggiore rispetto agli appellati, avendo redatto più sentenze presso le Sezioni Unite (172, di cui 103 massimate).

Ne conseguirebbe che nel suo giudizio il CSM, a fronte di dati obiettivi, avrebbe dovuto favorire il ricorrente in primo grado e non determinarsi a favore di un’equivalenza tra le attività volte dai vari candidati. 

Infatti, secondo il giudicante, pur se i dati qualitativo-temporali non comportano un automatismo in termini di nomina, tuttavia essi dimostrano che il magistrato escluso ha una permanenza maggiore presso le funzioni di legittimità ed ha una maggiore esperienza nelle Sezioni Unite, rispetto ai magistrati nominati. Un dato che non può essere superato se non attraverso una motivazione ragionevole ed adeguata, che giustifichi una scelta di nomina difforme rispetto alle “(univoche) emergenze dei dati oggetti” (Cons. Stato, n. 267/2022). 

Il particolare tipo di nomina, che si basa principalmente sul curriculum dei candidati, impone, infatti, al CSM di redigere una motivazione puntuale ed analitica che faccia emergere in modo esauriente la prevalenza di un candidato sull’altro. 

Continua il Consiglio di Stato, ravvisando anche un deficit motivazionale rispetto al criterio c) dell’art. 21 sopra citato, cioè quello relativo all’attività presso l’Ufficio spoglio della Cassazione. In particolare il CSM non avrebbe correttamente valutato che l’appellante ha svolto un periodo importante presso l’Ufficio del Massimario, svolgendo funzioni analoghe (“fogliettazione” e “relazione”) rispetto a quelle dell’Ufficio spoglio.

Infine, il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 267/2022, ha rilevato anche un altro importante aspetto della decisione del CSM che difetterebbe di legittimità. A parere del giudice amministrativo, infatti, l’Organo di autogoverno della magistratura ordinaria avrebbe sopravvalutato le funzioni svolte dal soggetto nominato presso la Sezione filtro della Corte di Cassazione, creando una discriminazione rispetto alle funzioni svolte dall'appellante presso altre Sezioni e Uffici della stessa Cassazione.

Diversamente, nella sentenza n. 268/2022, il giudice amministrativo ha osservato che, rispetto all’indicatore sub d) dell’art. 21 del testo unico di riferimento, cioè quello relativo all’esperienza maturata nello svolgimento delle funzioni giudiziarie, la cui valutazione, considerando il particolare posto messo a concorso, non deve essere astrattamente limitata a quelle di legittimità, manca una motivazione ragionevole ed adeguata che consenta di giustificare la scelta del CSM di dare maggior peso alle funzioni esercitate dalla controinteressata presso corti d’appello territoriali, rispetto a quelle svolte dal ricorrente presso la Corte di Cassazione.

Ulteriormente, sempre nella sentenza n. 268/2022, il Consiglio di Stato ha affrontato la tematica dei requisiti preferenziali di cui all’art. 34 del testo unico sulla dirigenza giudiziaria secondo cui: “Criteri di valutazione per il conferimento delle funzioni direttive superiori e delle funzioni apicali giudicanti e requirenti di legittimità 1. Per il conferimento delle funzioni direttive superiori giudicanti e requirenti di legittimità (Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione, Presidente del Tribunale Superiore delle Acque e Procuratore Generale Aggiunto) e delle funzioni apicali giudicanti e requirenti di legittimità (Primo Presidente della Corte di Cassazione e Procuratore Generale della Corte di Cassazione) costituisce elemento di valutazione positiva la possibilità che l’aspirante assicuri, alla data della vacanza dell'ufficio, la permanenza nello stesso per un periodo non inferiore a due anni, salvo che ricorrano particolari circostanze ed esigenze che facciano ritenere necessario un periodo più lungo o adeguato un periodo più breve. 2. Costituisce, di regola, elemento preferenziale per il conferimento delle funzioni direttive apicali di legittimità il positivo esercizio, negli ultimi quindici anni, per almeno un biennio, di funzioni direttive di legittimità nonché le significative esperienze in materia ordinamentale.

In particolare, il ricorrente ha censurato in primo grado la scelta del CSM di dare maggiore valore alle funzioni svolte dalla controinteressata come componente dell’Organo di autogoverno della magistratura e del Consiglio Giudiziario, che però sarebbero ordinamentali e, dunque, “esogene” rispetto alle funzioni giudiziarie in sé. Il Consiglio di Stato, valorizzando la natura nomofilattica delle posizioni messe a concorso, ha accolto il motivo affermando che l’essere stato componente del CSM o del Consiglio Giudiziario non rientra tra i titoli preferenziali di cui al citato art. 34, bensì sono esperienze apprezzabili secondo gli ordinari criteri per valutare le funzioni ordinamentali ed organizzative. 

In conclusione, il CSM, pur godendo di ampia discrezionalità amministrativa, nei casi esaminati ha in realtà compiuto una scelta sulle nomine che si presenta, a dire del Consiglio di Stato, come manifestamente irragionevole e sproporzionata, senza che alcuna motivazione analitica potesse consentire di comprendere il percorso logico per giungere a designare gli uni in luogo degli altri, né di legittimare le scelte fatte in tal senso. 

Nella parte finale della sentenza, il Giudice di appello precisa che l’accoglimento del gravame comporta il riesercizio del potere amministrativo nel rispetto della parte motiva della sentenza. Dunque, dopo queste sentenze, la questione è tornata in seno al CSM per una nuova valutazione dei candidati, anche in considerazione delle precisazioni e delle critiche riportate nelle decisioni.


LA "RIEDIZIONE" DEL PROCEDIMENTO DI NOMINA DEL PRIMO PRESIDENTE DELLA CASSAZIONE (a cura di Roberto Lombardi)

L'Organo di autogoverno della magistratura ordinaria ha premesso, nella proposta di delibera con cui - presente alla seduta di trattazione anche il Capo dello Stato - ha riesercitato il suo potere, che avrebbe rinnovato il giudizio comparativo in conformità alla statuizione del giudice amministrativo, espungendo i profili di illegittimità evidenziati dal Consiglio di Stato.

Ha quindi ripercorso il curriculum professionale dei due candidati alla nomina di Primo Presidente della Corte di Cassazione e prima ancora ribadito che la normativa consiliare applicabile alla valutazione da effettuare è quella contenuta nella circolare consiliare P-14858-2015 del 28 luglio 2015 e succ. mod., recante il nuovo Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria, che individua nella Parte I, sui Principi generali, le precondizioni (indipendenza, imparzialità ed equilibrio) e i parametri generali per il conferimento di tutti gli incarichi dirigenziali, che sono costituiti dal merito e dalle attitudini.

Il profilo del merito investe la verifica dell’attività giudiziaria svolta e ha lo scopo di ricostruire in maniera completa la figura professionale del magistrato.

Quanto alle attitudini, il nuovo T.U. affianca agli indicatori generali, disciplinati nella Sezione I della Parte II, alcuni indicatori specifici, ai quali è dedicata la Sezione II.

Dopo un riepilogo corposo delle esperienze professionali e organizzative meritevoli di valutazione per ciascuno dei candidati in comparazione, è stata effettuata la comparazione tra i due profili, con scelta che è nuovamente ricaduta sul magistrato "bocciato" dalla sentenza del Consiglio di Stato.

Emerge dalla motivazione della conferma della precedente nomina che, nonostante vi fosse da parte dei componenti della Quinta Commissione del CSM la consapevolezza che il Consiglio di Stato aveva annullato la prima delibera di nomina in considerazione della più lunga esperienza di legittimità del candidato escluso, la mancata sollecitazione da parte dello stesso Consiglio di Stato della riedizione del potere in un senso piuttosto che in un altro avrebbe lasciato libero l'Organo di autogoverno procedente di porre nel nulla il dictum giudiziale con una nuova, articolata e puntuale motivazione.

In particolare, secondo la Commissione proponente, l'indicatore valutativo inerente all’adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità (protratto per almeno sei anni complessivi anche se non continuativi) sarebbe stato da considerarsi rilevante, nella scelta dell'uno o dell'altro candidato, soltanto se uno dei due candidati avesse raggiunto un'esperienza inferiore alla soglia minima dei sei anni, in quanto, sempre secondo la Commissione, con interpretazione che il Plenum ha poi avallato, l'art. 21, lett. a), del Testo Unico, a differenza di altre previsioni del medesimo che danno specifico rilievo - nella valutazione comparativa - alla maggiore durata di una determinata esperienza giudiziaria, non attribuirebbe rilevanza a tale profilo, sul presupposto che lo svolgimento di determinate funzioni specialistiche, nella specie quelle di legittimità, comporta un significativo arricchimento professionale del magistrato soprattutto nella fase iniziale di approccio al settore di attività, fino al raggiungimento di quella soglia di adeguatezza nell'esperienza puntualmente collegata dalla normativa consiliare al periodo individuato.

Il "rinominato" alla carica, dunque - secondo questa impostazione -, considerato  il carattere di assoluta eccellenza nella professionalità maturata nelle funzioni considerate, non avrebbe potuto trarre alcun ulteriore "arricchimento"  da una maggiore anzianità nelle funzioni di legittimità.

Ne consegue, secondo il CSM, che nonostante l'oggettiva esistenza di un divario quantitativo temporale nella permanenza in tali funzioni fra i due candidati, entrambi possiederebbero nel massimo grado di intensità possibile l'indicatore attitudinale richiesto, risultando quindi equivalenti sotto tale profilo. 

Il Consiglio Superiore ha poi riaffermato la prevalenza del magistrato "confermato" alla nomina con riferimento all'indicatore sub c) dell'art. 21 del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria (esperienza presso l'Ufficio spoglio), contestando, di fatto, l'accostamento operato dal giudice amministrativo tra attività compiuta presso l'Ufficio del Massimario (c.d. fogliettazione) e attività di "spoglio" in senso stretto.

La prima consiste nella predisposizione di una relazione per ognuno dei ricorsi da trattare, dapprima per le tre sezioni civili c.d. generaliste e poi esclusivamente al servizio della prima sezione civile, nonché nella redazione per particolari ipotesi di relazioni per le Sezioni Unite.

La seconda è intimamente collegata alla preventiva valutazione di inammissibilità, manifesta fondatezza e fondatezza dei ricorsi ai fini di una sollecita  decisione fondata su questi presupposti, nonché alla formazione di ruoli omogenei e alla valutazione ponderale dei ricorsi.

Secondo il CSM, il candidato escluso non avrebbe sviluppato concreta attività di esame preliminare dei ricorsi, perché si sarebbe limitato a svolgere l'attività di "fogliettazione", e, ad ogni modo, tale attività assumerebbe valore decisamente meno pregnante dell'attività di spoglio propriamente detta, prima svolta direttamente come consigliere e poi addirittura coordinata in qualità di Presidente della sesta sezione dal candidato "vincente".

Tuttavia, non tutto il Plenum è rimasto persuaso dalla modalità di riedizione del potere suggerita dalla Commissione.

E' stato in particolare rammentato che i tempi assolutamente contingentati con i quali si è dovuto affrontare la delicata pratica, scaturita da una sentenza di annullamento del Consiglio di Stato fornita di una dettagliata motivazione, hanno senz'altro comportato pregiudizio alla puntualità e completezza della nuova delibera.

Secondo questa impostazione critica, nonostante il giudice amministrativo avesse censurato la motivazione della delibera, in quanto, in presenza di alcuni indicatori specifici che risultavano prevalenti per un candidato - indicatori peraltro stabiliti in sede di autovincolo dallo stesso CSM -, si era scelto un candidato diverso, nella nuova delibera sarebbero mancati proprio gli argomenti richiesti dalla sentenza di annullamento per colmare contraddizioni e lacune, in conseguenza della assenza di una riflessione approfondita e completa.

In effetti, è chiaro, esaminando il dibattito svoltosi in Plenum e la proposta della Commissione - che ha riesaminato in tempi record la pratica - che il peso della natura del CSM, quale organo di rilevanza costituzionale posto a presidio dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, e la indubbia forte discrezionalità della sua naturale componente valutativa, hanno prevalso sulle indicazioni fornite dal Consiglio di Stato, indicazioni che, pur non potendo sostituirsi alle scelte di merito da adottarsi in materia di nomina, sono pur sempre da ritenersi coordinate vincolanti nel riesercizio del potere.

In particolare, se il Consiglio di Stato fonda la sua decisione su una determinata interpretazione giuridica delle norme e dei criteri di autovincolo, offrire nel riesame una diversa "visione" del diritto applicabile al caso di specie è già di per sé una violazione del disposto del giudice amministrativo.

Un conto è infatti ripercorrere la comparazione tra candidati alla luce delle indicazioni fornite dall'organo giurisdizionale, un altro è rifare tale comparazione soltanto perché è necessario rifarla da un punto di vista degli obblighi ordinamentali, ma "ad occhi chiusi", senza cioè farsi guidare dall'impostazione giuridica ritenuta corretta dal soggetto che istituzionalmente ha il potere di imporsi (ovvero, in questo caso, l'organo giurisdizionale adito dal candidato escluso).

In altri termini, il fatto che il CSM sia Organo di autogoverno di uno dei tre poteri dello Stato non implica che lo stesso sia legibus solutus o che possa considerare una sentenza di annullamento di una sua delibera come un mero incidente di percorso.

E se è vero che le sentenze che hanno annullato le due nomine non potevano anche "scegliere" il candidato da nominare, è altresì vero che una riedizione del potere che pervenga a una nuova proposta in favore degli stessi candidati deve soddisfare criteri di ponderatezza e di adeguatezza superiori alla media.

Nel caso di specie, invece, l'approvazione-lampo di nuove motivazioni sostitutive di quelle a suo tempo molto meditate e, nonostante ciò, ritenute carenti dal Consiglio di Stato, è indice di una  tempistica che non appare oggettivamente congrua rispetto a qualsiasi delibera di nomina e a maggior ragione nel caso di specie, vista l'importanza e la delicatezza degli incarichi da conferire.

L'impressione, rilevata nel dibattito in Plenum anche da un Consigliere, è che le nuove motivazioni, anziché costituire una reale ottemperanza delle sentenze del Consiglio di Stato, che prescriverebbero una riformulazione idonea a superare le censure di carenze e di sostanziale tautologia delle delibere annullate, si limitino a riproporre in forma diversa le stesse argomentazioni contenute nelle motivazioni originarie.

D'altra parte, i temi da trattare erano di grande complessità, inerendo all'eventuale superamento dei confini della giurisdizione del giudice amministrativo o dei limiti di razionalità e coerenza logica imposti al Consiglio non solo dalle norme primarie ma anche dalla normativa interna, e il rischio concreto per il CSM è adesso quello di una nuova soccombenza in un successivo giudizio (che pare essere già stato intentato), con inevitabile ulteriore compromissione della sua credibilità nei confronti dei cittadini e di tutti i magistrati.

Il fatto che ad alcuni degli stessi Consiglieri partecipanti al voto le nuove delibere di incarico sembrino una riproduzione delle precedenti con l'inserimento, in relazione ai punti oggetto di annullamento, di argomenti non decisivi e non sufficienti a superare le censure formulate dal giudice amministrativo nelle due sentenze di annullamento, può pericolosamente trasformarsi nella spia di una possibile elusione delle decisioni del giudice amministrativo.

Il che è un male già soltanto sotto il profilo dell'apparenza, perché è sul rispetto delle decisioni di "tutti" gli organi di giustizia - rispetto che il CSM è solito pretendere anche per le proprie decisioni -, che si fondano i principi della Costituzione e il senso stesso dell'esperienza giuridica.




(1) "...per consolidata giurisprudenza il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria, difettando la clausola legislativa a regolamentare e riguardando comunque una materia riservata alla legge (art. 108, 1° comma, Cost.), non costituisce un atto normativo, ma un atto amministrativo di autovincolo nella futura esplicazione della discrezionalità del Csm a specificazione generale di fattispecie in funzione di integrazione, o anche suppletiva dei principi specifici espressi dalla legge: vale a dire si tratta soltanto di una delibera che vincola in via generale la futura attività discrezionale dell’organo di governo autonomo (...)" (Cons. di Stato, sentenza n. 267 del 2022)


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