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Spigolature 18. Il giusnaturalismo secondo J. M. Finnis

Sergio Conti • ott 30, 2023

Segnalo lo scritto del dr. Antonio Casciano “La teoria neoclassica del diritto naturale” pubblicato il 6 luglio 2022 sul sito del Centro studi Livatino - rinvenibile online all'indirizzo https://www.centrostudilivatino.it/john-mitchell-finnis-teoria-neoclassica-del-diritto-naturale/#more-10980.

John Mitchell Finnis, nasce ad Adelaide nel 1940. Dopo la laurea in legge, svolge un dottorato di ricerca ad Oxford sotto la supervisione di Herbert Hart. Nel 1966 insegna nella Law School dell’Università di Adelaide e ricopre il ruolo di Law Fellow all’University College di Oxford. Nei primi anni 1970 comincia la carriera accademica nell’Università di Oxford, che lo porterà a ricoprire i ruoli di Lecturer, Reader e Chaired Professor (Biolchini Family Professor of Law e Professor of Law and Legal Philosophy), fino al 2010. Nel 1980 pubblica Natural Law and Natural Rights, opera cardine nella costruzione di una teoria sulla legge naturale, oltre che scritto più rappresentativo dell’intera New Classical Theory.

[Un più completo esame è rinvenibile nel saggio del medesimo dr. Casciano intitolato “LA TEORIA DEL DIRITTO NATURALE DI JOHN FINNIS ALLA LUCE DELL’ONTO-EPISTEMOLOGIA ARISTOTELICO-TOMISTA” pubblicato sul Fascicolo 1 – 2021, della rivista L-JUS rivista semestrale del Centro studi Rosario Livatino - rinvenibile online all'indirizzo https://l-jus.it/wp-content/uploads/2021/08/L-JUS_1-2021-compressed.pdf

Uno scritto di Finnis (Legge naturale e diritti naturali) è rinvenibile poi rinvenibile nel web nell'interessantissimo testo VALIDITÀ, DIRITTI, EFFETTIVITÀ -Pagine di filosofia del diritto del Novecento - a cura di Angelo Abignente, Fabio Ciaramelli, Ulderico Pomarici Napoli 2016 (ristampa) che ho già segnalato nel precedente numero di Spigolature (rinvenibile online all'indirizzo https://www.docenti.unina.it/webdocenti-be/allegati/materiale-didattico/34168036 ).]



Lo scritto sopra citato (“La teoria neoclassica del diritto naturale”) evidenzia che: La teoria della legge naturale proposta da John Mitchell Finnis, insieme a diversi altri autori di rilievo …, rappresenta il tentativo contemporaneo più rilevante di riproposizione del giusnaturalismo. Il libro di Finnis “Natural Law and Natural Rights” ridà pieno diritto di cittadinanza nel dibattito analitico contemporaneo al tema del diritto naturale e della fondazione oggettiva di valori e princìpi morali, attraverso l’opera di reinterpretazione sistematica degli impianti dottrinali etico-politici tanto di Aristotele quanto di Tommaso, prediligendo l’impostazione analitica e il collegamento con la analytical jurisprudence di Hart e Raz. La cosiddetta “teoria neoclassica” ha assunto un’importanza crescente, oltre che nel dibattito gius-filosofico, anche in quello più propriamente etico-filosofico e teologico-morale”.


Così poi l'intero articolo:

“La Scuola Neoclassica, di cui Finnis è stato uno dei maggiori rappresentanti, nasce dall’incontro tra l’onto-epistemologia aristotelico-tomista e lo stile di indagine speculativa proprio della filosofia analitica. Il connubio tra le posizioni tomiste e la riflessione di stampo analitico ha generato un filone speculativo singolare e inedito nella storia del pensiero, al quale la storiografia filosofica ufficiale ha scelto di dare il nome di “tomismo analitico”. Il carattere rigidamente antimetafisico e scientista della filosofia analitica delle origini, ispirata ad un’epistemologia di stampo rigorosamente empirista e positivista, permette di escludere qualsiasi pregresso confronto dialogico tra le due tradizioni di pensiero. E se ad oggi il contributo di Tommaso è a ragione considerato ineludibile nella riflessione etica di stampo analitico[1], ciò si deve al fatto che, in questo lasso di tempo, molte cose sono cambiate, di cui due degne di nota: 1) la necessità di ripensare completamente l’etica analitica, smarcandola finalmente dall’eredità puramente meta-morale a cui era stata condannata dalla riflessione soprattutto di matrice inglese degli anni 1950; 2) l’opportunità di riconoscere l’assoluta singolarità e necessità del «rapporto con Tommaso d’Aquino e non invece solo, o soprattutto, con Aristotele»[2], e ciò in ragione del «ruolo che svolge, in questi autori, il tema della legge naturale o più in generale della norma morale»[3]. Il pensiero dell’Aquinate, infatti, rappresentava un luogo teoretico di incomparabile importanza dottrinale, nel quale cogliere la composizione del momento analitico – si pensi alle sottili distinzioni che compie Tommaso nell’affrontare una qualsiasi quaestio, all’analisi dei vari significati che può assumere ogni termine, alle suddivisioni concettuali genere-specie che sono l’impalcatura portante di tutta la Summa – con quello sintetico: Tommaso riconduce tutto a Dio, vertice della sua piramide teoretica e punto di convergenza di ogni sua argomentazione.

La Scuola Neoclassica, tenuta a battesimo, nel 1962, proprio da German Grisez, John Finnis e John Boyle, si inserirà esattamente in questo nuovo fermento culturale[4]. L’impostazione teorica prescelta lascia emergere fin da subito echi metodologici della analytical jurisprudence, non rinunciando tuttavia ad attingere ai contenuti del realismo classico, in particolare aristotelico e tomista, ed inaugurando uno sguardo innovativo sulla legge naturale. Finnis, da parte sua, avrebbe messo a punto una prospettiva teorica capace di coniugare l’eredità del pensiero tomista con gli esiti più recenti della analytical jurisprudence, in particolare con le riflessioni, sul punto di vista interno del giuspositivista Herbert Hart, di cui era stato allievo e al quale riconoscerà sempre il merito di aver ridato vigore alla jurisprudence, riaprendo al suo interno la strada verso un’analisi dei valori che guidano concretamente la condotta umana: «Ogni autore ha il suo ambiente; questo libro [Natural Law, Natural Rights, nda] affonda le sue radici in una tradizione moderna che può essere chiamata analytical jurisprudence, ed il mio personale interesse per quella tradizione precede il tempo in cui cominciai a sospettare per la prima volta che ci sarebbe potuto essere qualcosa di più nelle teorie della legge naturale che superstizione e oscurità»[5]. Secondo Finnis, dunque, l’atteggiamento proprio del teorico del diritto e della morale deve essere sì rivolto alla ricerca della legge naturale, però non già intesa come un insieme di precetti derivati dalla natura umana, bensì come lo studio del diritto positivo, colto alla luce di quei trasversali princìpi pratici che appaiono a tutti praticamente ragionevoli. In quest’ottica, il cosiddetto “diritto naturale” non viene più concepito come altro dal diritto positivo, come nella lunga tradizione del giusnaturalismo di ispirazione cristiana, ma come un metodo per elaborare una teoria del diritto positivo e, in definitiva, l’idea stessa del diritto in generale, talché l’obiettivo ultimo di Finnis sarà quello di mettere a punto una teoria giusnaturalistica del diritto positivo («a natural law theory of positive law»), dacché «there is no proper peace for a positivism outside natural law theory»[6].

Finnis concepisce la legge naturale come basata su due elementi fondanti: da una parte, alcuni beni fondamentali, che concorrono a determinare l’orizzonte teleologico, ultimo e definitivo, dell’agire umano, dall’altra i principi intermedi, ovvero alcuni criteri d’azione che costituiscono “indicatori pratici” necessari in vista del conseguimento effettivo e reale di tali beni fondamentali. La “norma morale” risulterebbe dall’intersezione tra la tensione naturale ai “beni fondamentali” e la fruizione operativa degli “indicatori pratici” in vista del conseguimento di quelli. Muovendo, dunque, dal presupposto dell’universalità delle “legge naturale”, ovvero, dall’idea di una legge morale che sia valida per tutti gli uomini di tutti i tempi, parrebbe possibile cogliere una pluralità di giudizi fondamentali di valore irriducibili gli uni agli altri – come la vita, la religione, la conoscenza, l’amicizia, il gioco, il culto dei defunti, la regolazione della sessualità – presenti in ogni cultura, ad ogni latitudine, e che, nel loro insieme, verrebbero a comporre il primo nucleo prescrittivo di quella cosa che è stata chiamata, nella tradizione del pensiero occidentale, “legge naturale”. Sarebbero tali valori, infatti, «l’unico sfondo valutativo che colora il quadro dell’etica. La vita morale si muove delineandosi all’interno di questo quadro, e le norme morali non possono che trovare in esso il loro orizzonte di significato»[7]. Detto altrimenti, quanto alle ragioni del nostro e dell’altrui agire, troviamo che esistono cose che cerchiamo principalmente per il loro bene. Queste cose sono i beni di base, o fondamentali, in quanto ricercati per se stessi e in quanto tali intelligibili, intuibili cioè come ragioni ultime per l’agire individuale, e come tali proposti dalla stessa ragione pratica ad ogni singolo agente morale.

Le apparentemente numerose e diverse ragioni per l’azione che le persone concretamente hanno e i beni che cercano, possono dunque essere ridotti in un numero limitato di categorie di basic goods. Finnis, Grisez e Boyle, in uno scritto pubblicato di congiuntamente del 1987[8], hanno proposto sette categorie di beni di base, che sono divisibili in due gruppi: i beni sostanziali e i beni riflessivi. Il primo gruppo contiene tre categorie di beni che, si potrebbe dire, riguardano l’uomo in quanto creatura animata o vivente, come la vita, la salute e il loro mantenimento; l’uomo in quanto creatura razionale, come la conoscenza e l’esperienza estetica; l’uomo in quanto creatura insieme animale e razionale, come le varie pratiche simboliche per mezzo delle quali “attribuire significato” e “creare valore”. Il secondo tipo di beni, quelli riflessivi, sono invece: l’armonia interiore, la socievolezza, la religione. I beni sostantivi esistono di per se stessi indipendentemente dall’azione dell’uomo. Quelli riflessivi vengono invece ad esistenza solo nella misura in cui l’agente li realizza concretamente e sono definiti tali sia perché l’azione volta verso tali beni si riflette, nella sua efficacia, sulla persona dell’agente, sia perché essi stessi assurgono a buone ragioni per scegliere e contengono in sé altri motivi di scelta.

Quali sono le caratteristiche di tali beni fondamentali? La prima, in ordine logico, è la fondamentalità, proprietà tale per cui la ricerca di qualunque altro valore può essere ad essi ricondotta, in quanto fini ultimi delle azioni umane. La fondamentalità di tali valori implica altresì la loro indimostrabilità, essendo essi le premesse prime del ragionamento pratico e, di conseguenza, tali da non poter essere propriamente dimostrati ma solo compresi. Ciò presuppone a sua volta tanto l’irriducibilità di quei valori a valori ulteriori, quanto la loro apertura. Essi, infatti, «non vanno intesi come limiti ma come il fondamento di un insieme potenzialmente infinito di azioni e di progetti di vita, tutti egualmente buoni e nessuno in grado di esaurirne la realizzazione. La migliore conoscenza dei valori non chiude prospettive ma ne apre di nuove»[9]. Vi sono ancora due caratteristiche basilari dei beni fondamentali da segnalare. La prima è la loro incommensurabilità. Data infatti l’irriducibilità di tali beni gli uni agli altri, aspetto a cui abbiamo accennato in precedenza, mancherebbe di fatto un’unità di misura comune con cui poterli con-misurare. Dall’incommensurabilità dei beni fondamentali, infine, discende, come conseguenza logica ulteriore, l‘altra caratteristica loro propria, ovvero, la mancanza di una possibile gerarchia oggettiva tra essi.

Gli assi cartesiani all’interno dei quali tracciare il profilo della natural law, sono rappresentati poi, oltre che dai basic goods, anche dai cosiddetti basic requirements of practical reasonableness. Orbene, dette “esigenze fondamentali della ragionevolezza pratica” sono i criteri pratici che indicano come si possa partecipare, in un contesto d’azione specifico, ai beni fondamentali in una maniera eticamente lecita. L’individuazione concreta di tali criteri, poi, è opera esclusiva della ragion pratica. Ebbene, il ruolo della ragion pratica è quello di mettere a punto una lista di “principi intermedi” che mediano il passaggio dai beni fondamentali alle concrete e libere decisioni della vita degli uomini nelle situazioni concrete. Detto altrimenti, la partecipazione ad uno o più beni di base, in una particolare circostanza nella vita, da parte del singolo agente, domanda necessariamente l’uso di uno o più di tali principi intermedi. Aver accertato l’esistenza di un sistema di valori fondamentali, di una struttura valutativa universale e necessaria per il funzionamento della ragion pratica, prova il fatto che «l’aggettivo premorale si può sostituire adeguatamente con la locuzione: “che precede la scelta libera”. Questo punto è importantissimo. Per renderlo più esplicito bisogna dire che per Finnis e Grisez non è possibile un’azione libera e razionale che non abbia come fine almeno uno dei valori fondamentali. L’alternativa ai valori fondamentali è l’irrazionalità e la mancanza di libertà del pazzo o dell’ubriaco»[10]. In quanto premorali, dunque, i valori fondamentali non appartengono al regno della libertà umana, ma a quello della necessità.

Il dibattito tra l’egoismo e le sue alternative morali appartiene in ultima analisi all’etica normativa più che alla fondazione dell’etica. Si può scegliere liberamente di essere un egoista, ma non si ha alcuna scelta sul se l’armonia tra le persone sia un bene, o sul se l’armonia sia favorita o impedita dall’egoismo individuale. È per quello che, seguendo l’Aquinate, Finnis ipotizza l’esistenza di un primo principio della ragione pratica, del tutto auto-evidente, comunemente reso per mezzo della cosiddetta formula d’oro: “Fai il bene ed evita il male”. L’orizzonte teleologico ultimo dell’agire morale individuale, infine, è rappresentato, dalla “realizzazione umana integrale”, ovvero, dalla realizzazione contestuale, per quanto possibile, di tutti i beni di base in tutte le persone che vivono in uno stato di armonia[11]. Poiché, tuttavia, nessuna linea di condotta può consentire la realizzazione di tutti i beni di base e di tutte le possibili istanze sottese a quei beni, la realizzazione umana integrale è soltanto un ideale il cui scopo è quello di ordinare la volontà verso la migliore esemplificazione possibile dei beni di base”.



[1] Cfr. GRIMI, E., G.E.M. Anscombe. The Dragon Lady, Cantagalli, Siena, 2014, p. 398.

[2] CAMPODONICO, A., “Tommaso e l’etica analitica”, Tommaso d’Aquino e i filosofi analitici, Orthotes Editrice, Nocera Inferiore, 2014, pp. 27 – 51, 27.

[3] Ibidem.

[4] Cfr. GRISEZ, G. G., BOYLE, J. M., FINNIS, J. M., Practical Principles, Moral Truth, and Ultimate Ends, in Natural Law, Dartmouth, Aldershot, 1991, vol. I, p. 237; cfr. anche FINNIS, J. M., BOYLE, J. M., GRISEZ, G. G., Nuclear Deterrence, Morality and Realism, Prefazione, Oxford University Press, Oxford, 1987.

[5] FINNIS, J. M., Legge naturale e diritti naturali, Giappichelli, Torino, 1996,p. XXVIII.

[6] FINNIS, J. M., “What is the Philosophy of Law?”, Rivista di filosofia del diritto, l (2012), p. 71.

[7] DI BIASI, F., “I valori fondamentali nella teoria neoclassica della legge naturale”, Rivista Internazionale di Filosofia Del Diritto, 76 (1999), pp. 209 – 252, p. 221.

[8] Cfr. GRISEZ, G. G., BOYLE, J. M., FINNIS J. M., “Practical Principles, Moral Truth, e Ultimate Ends “, American Journal of Jurisprudence, 32 (1987), pp. 106 – 108.

[9] DI BIASI, F., “I valori fondamentali nella teoria neoclassica della legge naturale”, op. cit., p. 41.

[10] DI BIASI, F., “I valori fondamentali nella teoria neoclassica della legge naturale”, op. cit., p. 42.

[11] Cfr. GRISEZ, G. G., BOYLE, J. M., FINNIS, J. M., Practical Principles, Moral Truth, and Ultimate Ends, Dartmouth, Aldershot, 1991, vol. I, p. 131.


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