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Rivelazione di notizie di ufficio e conoscibilità del segreto

ott 03, 2022

Ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Trapani in data 13/12/2021/ Ordinanza del 1/2/2022 della Corte di appello di Palermo/ Cassazione penale sez. VI - 30/05/2022, n. 24754


IL CASO

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani aveva applicato nei confronti del vicesegretario di un piccolo Comune siciliano la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio, misura poi confermata in sede di appello cautelare dal Tribunale di Palermo.

Secondo l’impostazione dell’accusa – così come accolta dai Giudici di prime e seconde cure -, l’indagato, nelle vesti di pubblico ufficiale, avrebbe rivelato alla sindaca dell'ente, che in quel momento era sospesa dalle funzioni in forza di provvedimento prefettizio, e al difensore di questa, notizie coperte da segreto, e, in particolare, quelle emergenti dagli atti delle indagini preliminari condotte per reati in materia di urbanistica dalla polizia municipale comunale nel procedimento a carico di altro soggetto.

Nella fattispecie, la ricostruzione dell’accusa è nel senso che l'indagato avrebbe consegnato al legale copia di tutti gli atti a disposizione del comando di polizia municipale, nonostante il vincolo del segreto di indagine di cui all’art. 329 c.p.p. e nonostante che, per tale ragione, il comando di polizia municipale avesse comunicato all'interessata la necessità di specifica autorizzazione dell'autorità giudiziaria procedente.

Materialmente, il vicesegretario, in mancanza del funzionario proposto al servizio, e nella sua qualità, aveva acquisito la documentazione in questione presso il Comando dei Vigili e aveva poi trasmesso al difensore dell’indagata - a seguito di richiesta del legale stesso - la comunicazione di notizia di reato redatta dalla polizia municipale del Comune in cui lavorava, oltre che il verbale di sopralluogo, atti che peraltro erano già conosciuti dalla sindaca in epoca precedente alla richiesta, in quanto costei, nella qualità pubblicistica dianzi descritta, aveva disposto il sopralluogo, venendo poi notiziata degli esiti e della successiva trasmissione alla Procura della Repubblica competente.

Risultava inoltre che nessun atto di indagine nuovo e successivo alla comunicazione di notizia di reato era stato trasmesso alla sindaca.

La Corte di Cassazione, investita dal ricorso dell’indagato finalizzato all’annullamento dell’ordinanza del Tribunale di Palermo, ha disatteso in punto di fumus la ricostruzione operata dall’accusa, statuendo che, alla luce della ricostruzione dei fatti sopra evidenziata, non sussisterebbe il reato contestato, in quanto le notizie d'ufficio ancora segrete erano state rivelate a un soggetto che, ancorché estraneo, nel caso di specie, al meccanismo istituzionale pubblico di acquisizione delle notizie stesse, le aveva già conosciute, né si era oltrepassato il limite della non conoscibilità dell'evoluzione della notizia oltre i termini dell'apporto fornito da tale soggetto alla formazione della notizia coperta da segreto, in quanto la sindaca, alla quale la comunicazione di notizia di reato e gli atti allegati erano stati diretti, attraverso il difensore che aveva attivato la richiesta evasa dall'indagato, era già a conoscenza della esistenza della informativa di polizia giudiziaria che ella stessa aveva determinato avviando il sopralluogo, e gli atti trasmessi coincidevano proprio con quelli svolti presso l'amministrazione comunale, senza coinvolgere la successiva fase investigativa, svolta dinanzi al Pubblico Ministero.

IL REATO E L’INTERESSE TUTELATO 

Il delitto previsto e punito dall’art. 326, comma 1 del codice penale è un reato proprio, in quanto incrimina quale soggetto attivo del reato stesso soltanto il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio.

La condotta è complessa, perché consiste nella rivelazione di notizie di ufficio le quali devono rimanere segrete, tramite violazione dei doveri inerenti alle funzioni e al servizio svolto, o comunque mediante abuso della sua autorità (locuzione che potrebbe avere un senso per i casi in cui la notizia sia acquisita dal pubblico ufficiale senza che lo stesso sia direttamente destinatario, per funzioni ricoperte, della stessa).

Analoga pena (reclusione da sei mesi a tre anni) è stata prevista per chi agevola in qualsiasi modo - anche tramite omissione - la conoscenza delle notizie coperte da segretezza, salvo che l'agevolazione sia colposa (nel qual caso si applica la reclusione fino a un anno: comma 2). Ne deriva, dunque, che il reato di cui al comma 1 è punibile soltanto a titolo di dolo (generico), qualsiasi sia la forma in cui si manifesta il comportamento di rivelazione (rivelazione diretta o agevolazione volontaria).

Sul piano materiale, occorre in pratica che sussistano, per il concretarsi di tale condotta, tre presupposti essenziali: la rivelazione di fatti o atti conosciuti per motivi di ufficio (ovvero acquisiti in ragione della professione svolta nell’ambito pubblico), un vincolo di segretezza afferente a tali notizie, e un dovere di non divulgazione verso quel determinato soggetto o quei determinati soggetti in favore dei quali avviene la rivelazione.

In questa prospettiva, risulta evidente che il reato ex art. 326 cod. pen., comma 1, si configura anche qualora la rivelazione della notizia o l'agevolazione della sua conoscenza avvenga successivamente alla cessazione della qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, sempre però che il fatto si riferisca all'ufficio od al servizio esercitato, in ossequio al disposto di cui all'art. 360 c.p..

Quanto all'oggetto della rivelazione, si tratta di notizie di ufficio (ovvero di tutte le conoscenze relative ad atti o attività di un pubblico ufficiale o servizio, ai loro presupposti o alle loro conseguenze, oggettivamente inerenti ad un Ufficio pubblico, inteso quest'ultimo in senso ampio così da comprendere non solo la funzione amministrativa ma anche quella legislativa e giudiziaria), e di notizie segrete ma non semplicemente riservate, perché quest'ultime non vengono in considerazione in quanto titolo di reato, anche se il confine tra le due tipologie di notizie resta molto labile e non compiutamente definito dal legislatore.

Ai fini della configurabilità del reato il dovere di segreto, cui è astretto il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, deve derivare da una legge, da un regolamento, ovvero dalla natura stessa della notizia che può recare danno alla pubblica amministrazione

D'altra parte, in tema di accesso agli atti della P.A., non sono da considerarsi notizie segrete le informazioni, per le quali la diffusione sia genericamente vietata dalle norme sul diritto di accesso, nel momento in cui vengono indebitamente diffuse, perché svelate a soggetti non titolari del diritto o senza il rispetto delle modalità previste, ma soltanto, in ossequio al generale principio della tendenziale completa accessibilità agli atti, le notizie coperte da ipotesi di segreto normativamente e specificamente previste, dovendosi tenere distinte le singole categorie di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio dalla generica - e trasversale - categoria di impiegati civili dello Stato di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 15. [1] 

La Corte di Cassazione, nel caso in commento, ha ribadito alcuni concetti fondamentali in ordine alla concreta configurabilità del delitto di rivelazione di segreti di ufficio. 

Innanzitutto, trattandosi di un reato di pericolo effettivo/concreto (e non meramente presunto) - nozione, questa, che prescinde dalla individuazione di un danno e che non si risolve nella mera rivelazione in sé e per sé della notizia da tenere segreta, imponendo la verifica, sulla base del caso concreto, della sua idoneità a creare pregiudizio agli interessi della pubblica amministrazione (in senso lato) o del terzo (bene tutelato) –, occorre che la notizia destinata a rimanere segreta, sotto il profilo materiale, sia portata a conoscenza di una persona non autorizzata.

Di conseguenza, il reato non sussiste, oltre che nella generale ipotesi della notizia divenuta di dominio pubblico, anche qualora notizie d'ufficio ancora segrete siano rivelate a persone autorizzate a riceverle (e cioè che debbono necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi al segreto di cui si tratta) ovvero a soggetti che, ancorché estranei ai meccanismi istituzionali pubblici, le abbiano già conosciute, fermo restando per tali ultime persone il limite della non conoscibilità dell'evoluzione della notizia oltre i termini dell'apporto da esse fornito.

In altri termini, in tanto la rivelazione del segreto è punibile, in quanto è suscettibile di produrre un qualche nocumento agli interessi tutelati a mezzo della notizia da tenere segreta.

Peraltro, quando è la legge a prevedere l'obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto, il reato sussiste senza che possa sorgere questione circa l'esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa l'esistenza del pericolo, ritenendola conseguente alla violazione dell'obbligo del segreto.

Può dunque verificarsi, in concreto, una situazione in cui la norma imponga uno specifico vincolo di segretezza su alcune "notizie di ufficio" particolarmente sensibili (ad esempio in materia di voti dati e opinioni espresse altrui), con valutazione effettuata a priori dal legislatore, e non su altre "notizie di ufficio" acquisite contestualmente, ma pur sempre non conoscibili dalla generalità degli utenti (dal "pubblico"), per le quali occorrerà dunque verificare, di volta in volta, l'effettivo pregiudizio, in caso di rivelazione, per il bene tutelato dalla norma incriminatrice penale, anche secondo le specifiche coordinate espresse nel caso in commento dalla Corte di Cassazione.




[1] Il testo dell'art. 15 del d.P.R. n. 3 del 1957, come sostituito dall'art. 28 Legge n. 241 del 1990, è stato così riformulato: "l'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio. Non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso. Nell'ambito delle proprie attribuzioni, l'impiegato preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dall'ordinamento".


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