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RICHIESTA DI ASSISTENZA GIUDIZIARIA E SINDACABILITA’ DELL’ATTO

gen 31, 2023

Il difetto di motivazione esplicita degli atti con cui è stato dato seguito alle richieste di assistenza giudiziaria internazionale è sindacabile, sotto il profilo delLA LEGITTIMITA' formale dell'atto, TRATTANDOSI DI ESERCIZIO DI UN potere discrezionale da parte del ministero, che è tenuto a valutare tutti i profili presi in considerazione dall’art. 723 cod. proc. pen..

La relativa motivazione deve essere contenuta nell’atto di accoglimento della richiesta formulata dallo Stato estero o va desunta per relationem da un precedente atto infraprocedimentale.

Né è possibile postulare una rilevanza esclusiva delle medesime questioni nella fase giurisdizionale, ex art. 724 cod. proc. pen..

Infatti, in quest’ultima FASE, non sono valutabili profili di pericolo per la sovranità nazionale, demandati in via esclusiva all’autorità ministeriale, mentre l’art. 723, comma 5, cod. proc. pen. attribuisce anCHE A quest’ultimo, E NON SOLO ALL'AUTORITa' GIURISDIZIONALE, il potere di verificare se la richiesta di assistenza giudiziaria internazionale non sia evidentemente contraria alla legge o ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.

AL RIGUARDO, il differente grado di cognizione A LUI spettante in ordine ai presupposti DELLA CONTRARIETa' ALLA LEGGE O AI PRINCIPI FONDAMENTALI DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO, reso palese dal fatto che per l’art. 723 la richiesta del Paese estero può essere respinta quando «risulta evidente» TALE CONtrarieta', non impedisce al Ministro della giustizia di vagliare la richiesta in conformità al principio del ne bis in idem sancito dall’art. 649 cod. proc. pen., o alla necessità della doppia incriminazione con specifico riguardo all’imputazione di riciclaggio formulata dall’autorità giudiziaria indiana, sotto il profilo della sua conformità all’art. 648-bis cod. pen..

In entrambi i casi vengono infatti in rilievo possibili violazioni espresse della legge interna o di contrasto con principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, astrattamente riconducibili all’ipotesi di “blocco” della richiesta di assistenza prevista dall’art. 723, comma 5, cod. proc. pen. (Adunanza Plenaria n. 15 del 2022)


L’art. 723 cod. proc. pen. attribuisce al Ministro della giustizia il potere «di non dare corso alla esecuzione della domanda di assistenza giudiziaria» in una serie di casi da essa previsti.

Oltre al rinvio ai «casi e (ai) limiti stabiliti dalle convenzioni», o dagli atti adottati dalle competenti istituzioni dell’Unione europea (comma 2), per gli «Stati diversi da quelli membri dell’Unione europea», è consentito di non dare corso alla richiesta di assistenza anche in caso di «pericolo per la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato» (comma 3) ed ancora quando «risulta evidente» che gli atti richiesti dal Governo straniero che chiede assistenza «sono espressamente vietati dalla legge o sono contrari ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano», o vi è fondato pericolo di discriminazioni (comma 5).

L’ipotesi di contrarietà alla legge e ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano è peraltro prevista anche per la successiva fase giurisdizionale dall’art. 724 cod. proc. pen., il cui comma 7, lett. a), prevede che l’esecuzione della domanda di assistenza giudiziaria è negata «se gli atti richiesti sono vietati dalla legge o sono contrari a principi dell’ordinamento giuridico dello Stato».

Rispetto al corrispondente art. 723, comma 5, cod. proc. pen., la disposizione da ultimo richiamata comporta in questa fase un sindacato di maggiore intensità sulle richieste di assistenza giudiziaria internazionale rispetto a quello devoluto al Ministro della giustizia. Esclusa l’ “evidenza” sulla cui base deve essere esercitato il potere ministeriale, l’art. 724 cod. proc. pen. non richiede infatti né una contrarietà “espressa” dell’atto alla legge, né che i principi dell’ordinamento giuridico in ipotesi violati siano qualificabili come “fondamentali”.

Da questa differente modulazione dei presupposti ostativi all’assistenza giudiziaria internazionale, un orientamento giurisprudenziale trae la conseguenza che la sede propria in cui esaminare le questioni sollevate nel presente giudizio dai ricorrenti sulla legittimità delle richieste di un altro governo sarebbe la fase giurisdizionale ex art. 724 cod. proc. pen., e non già quella amministrativa di competenza del Ministro della giustizia.

La tesi si risolve tuttavia in una sottovalutazione dei poteri a quest’ultimo attribuiti dall’art. 723 cod. proc. pen..

Invero, se da un lato, ai sensi dell’art. 46, comma 23, della convenzione ONU, una motivazione è richiesta solo in caso di esercizio del potere di “blocco” sulla richiesta di assistenza giudiziaria internazionale («il rifiuto di prestare assistenza giudiziaria reciproca deve essere motivato»), dall’altro, l’assenza di motivazione della determinazione conforme alla richiesta dello Stato estero non si riflette sulla conformità rispetto al diritto internazionale pattizio, poiché nel medesimo ambito sovranazionale tale determinazione costituisce atto di adempimento agli obblighi assunti in sede convenzionale, configurato come ipotesi ordinaria, rispetto al quale l’opposto caso di rifiuto assume i connotati della residualità, rigidamente circoscritto alle ragioni ostative previste dal sopra menzionato art. 46.

Diverse possono tuttavia essere le conseguenze sul piano del diritto interno, nella misura in cui l’atto ministeriale è soggetto alle regole generali della legge n. 241 del 1990. Né dall’assenza di motivazione è possibile dedurne la legittimità, considerando che il Ministero esercita un potere discrezionale, in forza del quale è tenuto a valutare tutti i profili presi in considerazione dall’art. 723 cod. proc. pen.

La relativa motivazione deve dunque essere contenuta nell’atto di accoglimento della richiesta formulata dallo Stato estero o va desunta per relationem da un precedente atto infraprocedimentale.



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