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Esempio I - Controversia in materia di espropriazione

apr 09, 2021

* SI CONSIGLIA DI PROVARE A SVOLGERE LA MOTIVAZIONE E IL DISPOSITIVO IN AUTONOMIA PRIMA DI ESAMINARE LA SOLUZIONE OFFERTA


TRACCIA

Tizio impugna dinanzi al competente Tribunale amministrativo regionale il provvedimento con cui il Comune di Zeta, con stima non ancora definitiva, ha determinato, con atto conosciuto dall’interessato 100 giorni prima della notificazione del ricorso, l’indennità per l’espropriazione di una parte di un suo terreno, opponendosi alla stima effettuata.

Contestualmente, chiede il risarcimento del danno consequenziale ad occupazione d’urgenza di altra porzione dello stesso terreno, sempre di sua proprietà, e sempre da parte del Comune di Zeta, per la realizzazione di un impianto sportivo e ricreativo polivalente, non seguita da regolare espropriazione.

In particolare, le due richieste sono state formulate relativamente alle seguenti aree:

- una prima area di complessivi mq. 4.000, la cui occupazione è avvenuta il 24 settembre 2010;

- una seconda area di complessivi mq. 6.000, la cui occupazione è avvenuta il 26 giugno 2012.

Tutte e due le occupazioni sono state effettuate a seguito di unitaria dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da eseguire, avvenuta nel corso del 2009.

Relativamente alla prima occupazione, il decreto di esproprio è intervenuto entro la scadenza dei termini, nel 2016, e l’interessato si oppone adesso in giudizio alla determinazione provvisoria dell’indennità di esproprio.

Relativamente alla seconda occupazione, non risulta che l’amministrazione abbia mai adottato un decreto di espropriazione.

L’irreversibile trasformazione (o comunque la modificazione) di tali terreni si è ad ogni modo nel frattempo perfezionata.

Tizio chiede dunque una correzione in aumento del valore liquidato a titolo di indennità di espropriazione, senza peraltro documentare per quali motivi la stima sia erronea, e il risarcimento del danno per il terreno occupato ma mai espropriato, con rivalutazione e interessi del valore venale di tale area a decorrere dal momento dell’immissione in possesso da parte dell’amministrazione.

Si costituisce in resistenza il Comune di Zeta, che eccepisce:

- pregiudizialmente, il difetto di giurisdizione del giudice adito rispetto a tutte le domande proposte;

- in caso di mancata dichiarazione del difetto di giurisdizione, l’inammissibilità dell’opposizione alla stima, per intervenuto decorso dei trenta giorni dalla notifica della stima peritale; 

- la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, essendo decorsi oltre cinque anni dall’occupazione dei terreni;

Nel merito, il Comune oppone l’infondatezza o comunque l’inammissibilità della domanda di risarcimento del danno, evidenziando che Tizio avrebbe potuto chiedere soltanto la restituzione del terreno, e che comunque l’individuazione del dies a quo di commissione dell’illecito era da riferirsi alla scadenza del termine di occupazione legittima del terreno e non al momento dell’immissione in possesso da parte dell’amministrazione. 

Il Comune di Zeta propone altresì domanda riconvenzionale per vedere dichiarata l’intervenuta usucapione dei terreni occupati, facendo decorrere gli effetti dell’immissione in possesso da fatti e atti risalenti a 25 anni orsono, senza peraltro documentare in alcun modo tali circostanze.

Nelle more del giudizio, l’amministrazione locale adotta decreto di acquisizione ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 del terreno non espropriato, in ragione dell’attualità dell’interesse all’utilizzo del complesso sportivo nel frattempo realizzato.

Tizio impugna anche tale decreto con motivi aggiunti, chiedendone l’annullamento, ma limitandosi a contestare i criteri di liquidazione della indennità di acquisizione e non la legittimità dell’atto in sé.

Il Comune di Zeta eccepisce a sua volta la sopravvenuta improcedibilità del ricorso introduttivo e il difetto di giurisdizione sulla nuova domanda svolta con i motivi aggiunti.


**********


Il candidato/la candidata rediga la sentenza nella parte in diritto e nel dispositivo. Il ricorso va risolto seguendo l’ordine logico di trattazione in tutti i profili di rito, anche sollevabili d’ufficio dal giudice adito, e nel merito, pure se uno dei profili in rito fosse assorbente.


MOTIVAZIONE E DISPOSITIVO


DIRITTO


1.Con il ricorso introduttivo in esame Tizio ha svolto due distinte domande contro il Comune di Zeta:

- impugnazione degli atti di determinazione dell’indennità di esproprio conseguente all’avvenuta espropriazione di un bene di sua proprietà, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001;

- richiesta di risarcimento dei danni subiti a seguito della illegittima occupazione ed irreversibile trasformazione di altra parte dello stesso bene parzialmente espropriato.

2. Con riferimento alla prima domanda – connessa soggettivamente e oggettivamente alla seconda, in relazione all’appartenenza del terreno allo stesso proprietario, alla sua ubicazione nella stessa area comunale e alla realizzazione su tale terreno di un’opera di interesse pubblico – il Collegio deve accogliere l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’amministrazione resistente.

2.1. Invero, l’opposizione alla stima di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001 costituisce una controversia disciplinata dall'articolo 29 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, rispetto alla quale “E' competente la corte di appello nel cui distretto si trova il bene espropriato” (art. 29, comma 2 del d.lgs. n. 150/2011).

2.2. Ne deriva che il Tribunale adito deve declinare in favore del Giudice ordinario la giurisdizione sulla prima domanda svolta.

3. Passando all’esame della domanda di risarcimento dei danni, che afferisce all’occupazione illegittima della seconda area di complessivi mq. 6.000, la cui prima immissione è avvenuta il 26 giugno 2012, occorre preliminarmente verificare, anche in questo caso, se sussiste o meno la giurisdizione del Tribunale amministrativo regionale; il difetto di giurisdizione è stato peraltro anche in questo caso formalmente eccepito dal Comune di Zeta.

3.1. Si osserva, a questo riguardo, che, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la domanda di risarcimento dei danni proposta dal proprietario ogni volta che gli atti del procedimento ablativo intrapreso dall’ente siano venuti comunque meno o perché siano stati annullati o per la decorrenza dei termini dell’occupazione o di quelli fissati per la conclusione del procedimento; mentre rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione c.d. usurpativa, intese come occupazione di un fondo di proprietà privata in assenza di provvedimenti, fermo restando che oggi tale distinzione (tra occupazione appropriativa ed usurpativa) ha perso di significato con riferimento alla giurisdizione, nel senso che residuano al giudice ordinario le sole ipotesi in cui ab origine manchi del tutto una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

Nel caso di specie, tale dichiarazione di pubblica utilità era sussistente, e quindi la domanda di risarcimento del danno per occupazione illegittima (sopravvenuta scadenza dei termini entro i quali occorre adottare il decreto di esproprio) radica la giurisdizione del Giudice amministrativo.

3.2. L’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune di Zeta deve dunque essere respinta, con riferimento a questo specifico profilo.

4. Sempre preliminarmente, occorre innanzitutto verificare se, come dedotto dall’amministrazione resistente, il diritto al risarcimento del danno si sia nel frattempo prescritto.

4.1. La giurisprudenza ha definitivamente chiarito che l’occupazione illegittima di un bene non espropriato nei termini costituisce un illecito permanente, con la conseguenza che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno non decorre fin tanto che non cessi l’occupazione stessa.

Nel caso in esame, la domanda di risarcimento del danno è stata proposta in costanza di occupazione illegittima e dunque in tempo utile ad evitare la prescrizione del diritto.

5. Tornando all’esame della domanda di opposizione alla determinazione dell’indennità di esproprio, posto che il difetto di giurisdizione sembra insuperabile – in relazione all’espresso disposto normativo –, deve essere innanzitutto respinta l’eccezione di inammissibilità di tale opposizione per decorso del termine dei trenta giorni dalla notificazione della stima peritale.

5.1. Invero, secondo la corretta interpretazione di tale norma che prevale nella giurisprudenza nomofilattica, il decorso del termine di decadenza previsto dall’art. 29 comma 3 d.lgs. 150/2011 presuppone che vi sia stata, in sede amministrativa, la stima definitiva dell’indennità di espropriazione e non può dunque operare per la ipotesi di azione giudiziale per la determinazione dell’indennità per la quale non sia intervenuta alcuna stima definitiva, come avvenuto nel caso di specie; l’azione di determinazione giudiziale dell’indennità azionata resta dunque proponibile finché non decorra il termine di prescrizione decennale, a far tempo dall’emanazione del provvedimento ablatorio, ed è stata dunque tempestivamente proposta, con riferimento all’odierna controversia.

5.2. Ad ogni modo, il ricorrente non ha provato in alcun modo la sua pretesa, volta ad ottenere una maggiorazione dell’indennità di esproprio proposta, per cui la domanda deve essere respinta per infondatezza, risultando onere di chi vuole dimostrare l’esistenza di un diritto provarne gli elementi costitutivi.

6. Nel merito della domanda di risarcimento del danno da occupazione illegittima, occorre innanzitutto esaminare la domanda riconvenzionale proposta dal Comune di Zeta, in quanto astrattamente idonea a paralizzare la pretesa di Tizio.

L’amministrazione, infatti, chiede l’accertamento dell’intervenuta usucapione dei terreni occupati.

6.1. La domanda riconvenzionale proposta dalla difesa del Comune di Zeta sarebbe preliminarmente inammissibile, per difetto di giurisdizione del Giudice adito, considerando che l’amministrazione allega una data di inizio del possesso qualificato di gran lunga precedente a quella dell’occupazione conseguente alla dichiarazione di pubblica utilità.

Ad ogni modo, il Comune non ha dato la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva: il corpus, ossia l’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, l’animus rem sibi habendi, vale a dire la volontà di comportarsi e farsi considerare come proprietario della res ed i requisiti del possesso necessari per l’usucapione, tra i quali anche la durata del possesso medesimo per il periodo prescritto dalla legge, tanto in applicazione della regola generale sull’onere probatorio fissata dall’art 2697 c.c. e dall’art. 64 del codice del processo amministrativo, in base alla quale chi intende far valere un diritto in giudizio ha l’onere di provare i fatti costitutivi di esso.

Sussisterebbe infine, a volere rivendicare l’intervenuta usucapione al di fuori dei limitati casi in cui se ne può ipotizzare la sussistenza, un contrasto diretto con l’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

7. Sotto altro profilo, la domanda di risarcimento del danno non può ritenersi di per sé infondata (rectius: inammissibile), come pure allegato dall’amministrazione resistente, in quanto erroneamente proposta.

Secondo la tesi del Comune di Zeta, infatti, Tizio avrebbe dovuto chiedere direttamente la restituzione del bene e non la domanda di risarcimento del danno per equivalente, valendo tale domanda come implicita e inammissibile rinuncia al bene stesso.

7.1. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha recentemente escluso qualsivoglia forma di acquisizione della proprietà pubblica per mero decorso del tempo, ovvero per rinuncia abdicativa (o traslativa) dei proprietari che abbiano agito esclusivamente in via risarcitoria, individuando nel provvedimento di cui all’art. 42-bis del testo unico sulle espropriazioni il rimedio formale per far cessare lo stato di illiceità preesistente.

Ne deriva che anche se un soggetto non chiede la restituzione del bene, ciò non implica rinuncia abdicativa al bene stesso, ma nemmeno determina l’inammissibilità della proposta domanda di risarcimento del danno, che trae comunque fondamento dal necessario accertamento giudiziale dell’illiceità della condotta dell’ente pubblico e può essere riqualificata autonomamente dal Giudice ex art. 32, comma 2 c.p.a., ferma restando la facoltà discrezionale dell’amministrazione, successivamente all’intervenuto accertamento della perdurante illegittimità dell’occupazione del bene, di restituire l’immobile occupato illegittimamente o di procedere all’adozione di un provvedimento di acquisizione ex post di tale immobile, con corresponsione dell’indennizzo di cui all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001.

7.2. Sotto altro profilo, peraltro, è corretta - anche se non più rilevante, per i motivi che vedremo -, l’affermazione del Comune di Zeta secondo cui il dies a quo di commissione dell’illecito, ai fini dell’individuazione del momento in cui misurare il valore venale del bene per la quantificazione del risarcimento del danno, decorre dalla scadenza del termine di occupazione legittima del terreno, posto che soltanto in caso di occupazione sine titulo esso va fatto decorrere dal momento dell’immissione in possesso da parte dell’amministrazione; ne deriva che Tizio non può chiedere gli interessi sulla somma rivalutata fin dal 2012.

7.3. Nel caso di specie, tuttavia, l’intervenuta adozione ad opera del Comune di Zeta, nelle more del giudizio, del decreto di acquisizione al suo patrimonio indisponibile dell’immobile ormai modificato e utilizzato per scopi di interesse pubblico (centro sportivo comunale), da un lato, ha costituito causa di cessazione di quella illiceità, sulla quale si fondava l’originaria istanza risarcitoria, dall’altro, ha fatto convergere su un diverso provvedimento l’interesse alla decisione della questione controversa.

7.4. Ne deriva che il ricorso introduttivo è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in relazione alla circostanza dirimente secondo cui tutte le aspettative di tutela del privato, risarcitorie e restitutorie, si sono ormai canalizzate nell’eventuale contenzioso avente ad oggetto il provvedimento di acquisizione ex nunc intervenuto nel corso del giudizio, e, sulla base di tale provvedimento, la p.a. ha ormai acquisito il diritto di proprietà dell'area di cui già aveva il possesso. 

8. Occorre dunque esaminare la nuova domanda proposta con i motivi aggiunti.

Tizio ha impugnato il decreto di acquisizione ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 medio tempore intervenuto, limitandosi a contestare l’importo stabilito a titolo di indennizzo e non la legittimità dell’atto in sé.

8.1. La domanda di annullamento è in parte infondata e in parte inammissibile.

8.2. E’ infondata con riferimento alla legittimità dell’atto di acquisizione in sé, in quanto la difesa di Tizio non ha in alcun modo allegato quali sarebbero i vizi di incompetenza, violazione di legge e/o eccesso di potere che renderebbero illegittima la decisione del Comune di Zeta, fermo restando l’amministrazione gode di ampia discrezionalità nello stabilire che un bene immobile “modificato” e utilizzato per scopi di interesse pubblico debba essere acquisito al suo patrimonio indisponibile, sussistendo la sola necessità di valutazione “degli interessi in conflitto”.

Nel caso di specie, peraltro, il bene in questione è stato trasformato in modo rilevante, con la costruzione di un impianto sportivo, per cui la riduzione in pristino e la restituzione sarebbero stati oggettivamente e gravemente onerosi per l’amministrazione comunale.

8.3. Per altro verso, la domanda di annullamento del decreto di acquisizione, introdotta con motivi aggiunti, è da considerarsi inammissibile per difetto di giurisdizione, come ritualmente eccepito dal Comune di Zeta, in quanto le controversie concernenti non la legittimità dell’atto ex se, ma gli importi in esso contenuti, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell'art. 53, comma 2, del d.P.R. n. 327/2001 e dell’art. 133, comma 1, lett. g), ultimo periodo, c.p.a. e risultano devolute alla Corte d’appello, in unico grado, secondo la regola generale dell’ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità desumibile dalla interpretazione estensiva dell’art. 29 d.lgs. 150/2011.

La natura indennitaria (di pregiudizi conseguenti ad un atto lecito) e non risarcitoria (di danni cagionati da un fatto illecito) delle somme che la PA è tenuta a liquidare e a pagare (o, in mancanza di accettazione, a depositare) per pervenire alla acquisizione del bene al proprio patrimonio indisponibile è stata affermata e confermata dalla giurisprudenza nomofilattica non solo in relazione alle somme qualificate dallo stesso legislatore come “indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale” per la perdita della proprietà del bene immobile, ma anche in relazione all’interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell’immobile, menzionato al comma 3 dell’art. 42 bis, che ne prevede il pagamento “a titolo risarcitorio”, giacché si tratta di una voce del complessivo indennizzo per il pregiudizio patrimoniale previsto dal comma 1 il diritto al quale (nella sua integralità, comprensiva delle voci valore venale, pregiudizio non patrimoniale e interesse del cinque per cento annuo per il periodo di occupazione) sorge solo a seguito dell’adozione del provvedimento di espropriazione c.d. sanante, sicché l’uso dell’espressione “a titolo risarcitorio” costituisce mera imprecisione lessicale, che non altera la natura della corrispondente voce dell’indennizzo, il quale essendo unitario non può che avere natura unitaria.

9. In definitiva, il ricorso introduttivo deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, con riferimento alla domanda di rideterminazione dell’indennità provvisoria di esproprio, o comunque respinto in quanto infondata, e improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, con riferimento alla domanda di risarcimento del danno, stante il rigetto della domanda riconvenzionale proposta dall’amministrazione resistente; i motivi aggiunti devono invece essere dichiarati in parte inammissibili e in parte infondati, secondo quanto sopra evidenziato.

10. Le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, in relazione alla soccombenza reciproca determinatasi sulle domande svolte.


P.Q.M.


il Tribunale Amministrativo Regionale per ____ (Sezione _____), definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:

-dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda di opposizione alla determinazione dell’indennità di esproprio e indica quale giudice nazionale fornito di giurisdizione su tale domanda il Giudice ordinario, innanzi al quale il giudizio deve essere riproposto entro i termini di legge, ai fini di cui all’art. 11 c.p.a.;

-respinge ad ogni modo la citata domanda;

-dichiara l’improcedibilità della domanda di risarcimento del danno;

-respinge la domanda riconvenzionale proposta dall’amministrazione resistente, nei termini di cui in motivazione;

-dichiara in parte infondati e in parti inammissibili per difetto di giurisdizione i motivi aggiunti, nei sensi e con gli effetti di cui in motivazione. Indica quale giudice nazionale fornito di giurisdizione sulla domanda di rideterminazione giudiziale delle indennità di cui all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 il Giudice ordinario, innanzi al quale il giudizio deve essere riproposto entro i termini di legge, ai fini di cui all’art. 11 c.p.a.;

-compensa tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in ____ nella camera di consiglio del giorno ____ con l'intervento dei magistrati:


SPIEGAZIONE


MOTIVAZIONE

La traccia nasconde alcune insidie che devono subito essere individuate.

Innanzitutto, Tizio ha svolto prima un ricorso introduttivo con due domande, e successivamente dei motivi aggiunti con una sola domanda.

Occorre ovviamente andare in ordine ed esaminare il ricorso introduttivo, individuando e riepilogando innanzitutto quali siano le due domande (1).

E’ opportuno poi fare un rapido riferimento alla circostanza che le due domande sono tra di loro connesse, per cui è possibile trattarle insieme (2).

Si comincia dunque ad esaminare la prima domanda, prestando attenzione al fatto che il Comune di Zeta ha eccepito il difetto di giurisdizione con riferimento ad entrambe le domande (2 e 2.1.)

Nel verificare la questione di giurisdizione sulla prima domanda svolta ci soccorre la normativa speciale, che non lascia spazio a dubbi (2.1. e 2.2.).

Nel verificare invece la questione di giurisdizione sulla seconda domanda svolta – risarcimento del danno – è opportuno fare un sintetico ma chiaro passaggio sulla ripartizione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di occupazione preliminare (o di urgenza) all’espropriazione, e sull’evoluzione dei confini di tale ripartizione (3.1 e 3.2.).

Trattenuta la giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno, conviene per comodità esaminare subito l’ulteriore eccezione formulata dal Comune di Zeta rispetto a questa specifica domanda, ovvero l’eccezione di prescrizione (4).

Anche qui, ci soccorre nella soluzione la conoscenza degli ultimi approdi della giurisprudenza sulla questione (4.1.).

Superate le eccezioni pregiudiziali e preliminari fondamentali, e assodato che la traccia ci chiede di esaminare i profili di merito pure se un profilo di rito fosse da ritenersi assorbente, occorre tornare all’esame della prima domanda svolta (opposizione all’indennità).

Qui in realtà pende anche un’eccezione di inammissibilità connessa al presunto decorso dei termini di legge per l’opposizione, che deve essere subito affrontata.

Si tratta più propriamente, per ciò che concerne il processo amministrativo, di una questione di irricevibilità ex art. 35, comma 1 lett. a) del c.p.a., che, pur conducendo comunque ad una pronuncia di rito, in caso di suo accoglimento, deve essere esaminata pur sempre dopo la questione di giurisdizione e l’individuazione della posizione soggettiva azionata, anche perché l’accertamento di un diritto non è normalmente sottoposto a termini decadenziali di impugnativa.

Nel nostro caso, l’eccezione non coglie nel segno (5 e 5.1.) ma nel merito la domanda di opposizione risulta comunque infondata, perché sprovvista, come riferito in traccia, di qualsiasi elemento probatorio a supporto (5.2.).

Occorre a questo punto esaminare nel merito la domanda di risarcimento del danno. Tale domanda può essere astrattamente paralizzata dalla domanda riconvenzionale proposta dall’amministrazione e dunque è necessario innanzitutto verificare l’ammissibilità e la fondatezza della domanda riconvenzionale stessa (6).

In questo caso, trattandosi dell’esame unitario di un’unica domanda – e dopo avere velocemente “rinfrescato” le idee dando un’occhiata a codice civile, codice di procedura civile e codice del processo amministrativo su struttura, presupposti e fondamento sostanziale di tale domanda -, si possono approfondire in modo sintetico, uno dopo l’altro, sia i profili di rito che i profili di merito (6.1.).

Il Comune di Zeta non si difende nel merito della domanda di risarcimento del danno ma prova a chiederne il rigetto sulla base di un argomento per certi versi capzioso: se l’amministrazione non può più appropriarsi del bene con il vecchio istituto dell’occupazione appropriativa, il privato non ha mai perso la proprietà e quindi deve chiedere la restituzione e non il valore venale del bene perduto (7).

L’argomento va affrontato e “smontato” con lucidità, e sotto due profili tra di loro concorrenti, posto che il ragionamento che è alla base dell’eccezione del Comune è comunque corretto (7.1.).

Innanzitutto, non vi è inammissibilità della domanda di risarcimento del danno soltanto perché la domanda corretta sarebbe un’altra, anche perché resta comunque la necessità di accertare, sia per l’una che per l’altra domanda, l’illiceità del comportamento della p.a.; in ogni caso, vi è la possibilità di conversione dell’azione proposta, secondo quanto previsto dal codice del processo amministrativo.

In secondo luogo, non è detto che il Giudice non possa pronunciare una condanna generica lasciando all’amministrazione la possibilità di scegliere tra la restituzione del bene e l’acquisizione ex art. 42-bis del t.u. espropriazioni, con corresponsione della relativa indennità (7.1.).

In questo caso, peraltro – e ciò ci toglie definitivamente le castagne dal fuoco -, il decreto di acquisizione ex nunc è intervenuto prima ancora della conclusione del giudizio, determinando la sopravvenuta carenza di interesse alla originaria domanda di risarcimento del danno e determinando una nuova impugnazione, proposta con i motivi aggiunti di cui all’art. 43 c.p.a.. ( 7.3. e 7.4.).

E’ bene in ogni caso fare un rapido passaggio motivazionale anche sull’altra questione lasciata aperta dalla traccia (sulla quali le parti non concordano), vale a dire la corretta individuazione della data di commissione dell’illecito perpetrato dall’amministrazione. Ciò, sempre nell’ottica dell’esame di tutte le questioni, anche se ormai non più rilevanti in conseguenza di una pronuncia di rito (pronuncia che in questo caso è costituita dalla dichiarazione di improcedibilità della domanda di risarcimento del danno) (7.2.)

Nell’esame della domanda di annullamento proposta con i motivi aggiunti non deve sfuggire il fatto (essenziale) che Tizio non ha allegato vizi di legittimità del nuovo provvedimento impugnato ma soltanto l’inadeguatezza della indennità stabilita da esso.

Da ciò consegue la doppia pronuncia di infondatezza e inammissibilità per difetto di giurisdizione, di per sé idonea a chiudere la motivazione della sentenza (8.1., 8.2. e 8.3.).

Esauriti tutti i motivi e tutte le questioni proposti/e dalla traccia, è bene riepilogare unitariamente - soprattutto quando ci sono più domande, ricorso introduttivo e motivi aggiunti, come nel caso in esame – l’esito dell’esame svolto (9).

L’ultimo paragrafetto va infine dedicato alla liquidazione delle spese di giudizio, verificando se sussiste una delle ipotesi previste dall’art. 92 c.p.c., così come riformulato a seguito della pronuncia additiva della Corte costituzionale del 2018. La reciproca soccombenza, valutata in autonomia dal Giudice (tutte le domande, ivi compresa la domanda riconvenzionale, sono state formalmente respinte o dichiarate inammissibili o improcedibili, ma la pretesa di fondo del ricorrente era parzialmente fondata), è una di queste ipotesi (10). 


DISPOSITIVO

Il dispositivo deve essere ordinato ed esaustivo, oltre che, ovviamente, coerente con la motivazione. Se una domanda è stata respinta sia per motivi di rito che per infondatezza nel merito, o comunque attraverso un ragionamento articolato e non sintetizzabile ulteriormente in dispositivo, si può usare la formula unitaria “nei termini di cui in motivazione” o “nei sensi e con gli effetti di cui in motivazione”.

Se si dichiara il difetto di giurisdizione è bene ricordarsi di riportare in dispositivo la formula usata dall’art. 11 c.p.a..

Non dimenticare la pronuncia sulle spese di lite.


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