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Parità di genere e cariche pubbliche

a cura di Nicola Fenicia • dic 01, 2021

Tar Salerno, sez. I, 22 novembre 2021, n. 2505 - Pres. Pasanisi, Est. Saporito


IL CASO E LA DECISIONE

Proprio in prossimità della giornata del 25 novembre, dedicata all'eliminazione della violenza contro le donne e ad una più generale riflessione sull’affermazione dei diritti fondamentali delle donne, è stata emanata un’importante sentenza del T.A.R. Salerno, con la quale è stato annullato l’atto di nomina dei componenti della Giunta Comunale, adottato dal Sindaco di Positano, per violazione del principio della parità di genere nella formazione della Giunta comunale, principio cristallizzato nell’art. 1, comma 137, della legge n° 56 del 2014

Tale articolo di legge dispone infatti che nelle Giunte dei comuni con popolazione superiore a tremila abitanti nessuno dei due generi possa essere rappresentato in misura inferiore al 40%.

Nella fattispecie, dei quattro assessori nominati, solo una era di sesso femminile, ragion per cui le ricorrenti, cittadine del Comune di Positano, insieme ad alcune consigliere di minoranza, hanno preteso la piena applicazione del principio di pari opportunità. 

Il Comune di Positano si è difeso in giudizio opponendo l’esistenza di una oggettiva impossibilità di assicurare, nella composizione della Giunta comunale, la presenza dei due generi nella misura stabilità dalla legge, in quanto le poche personalità femminili che avrebbero potuto ricoprire la carica assessorile, erano state tutte interpellate e si erano rifiutate di accettare l’incarico.

Il T.A.R. ha però ritenuto che la preventiva attività istruttoria posta in essere dal Comune, preordinata ad acquisire la disponibilità allo svolgimento delle funzioni da parte di persone di sesso femminile, non fosse stata adeguata, in quanto condotta solo formalmente e frettolosamente, avendo essa riguardato solo cinque cittadine a fronte di una popolazione di circa 3.900 abitanti, mentre solo una comprovata situazione di obiettiva ed assoluta impossibilità di rispettare la detta percentuale di genere femminile nella composizione della Giunta, avrebbe potuto costituire il “limite intrinseco, logico - sistematico, di operatività della norma in questione”, esonerando il Comune dal rispetto delle prescrizioni in tema di quote di genere.

Dunque, ferma restando l’impronta strettamente fiduciaria dell’atto di nomina degli assessori e la natura altamente discrezionale della scelta sottesa a tale nomina, ed essendo pacifico che tali prerogative non possano essere limitate imponendo l’individuazione di un quisque de populo per una mera questione di genere, ciò da cui non si può prescindere è lo svolgimento di un’accurata e seria istruttoria, diretta ad acquisire la disponibilità all’assunzione delle funzioni assessorili da parte di persone di sesso femminile, sia tra le candidate non elette che tra le cittadine che non hanno partecipato direttamente alla contesa politica. 

Né la natura fiduciaria della carica assessorile può giustificare la restrizione di un eventuale interpello “alle sole persone appartenenti allo stesso partito o alla stessa coalizione di quella che ha espresso il sindaco, soprattutto in realtà locali non particolarmente estese, come quella di cui ci si occupa, ciò tanto più in considerazione del principio alla cui attuazione è finalizzata la norma in questione”.


BREVI RIFLESSIONI

Il tema posto all’attenzione dalla sentenza in commento è quello importantissimo della partecipazione delle donne alla vita politica nelle comunità locali e nel Paese e dunque della rappresentanza femminile nelle cariche elettive. La Costituzione, rimasta al riguardo in parte inattuata, stabilisce, all’art. 3, secondo comma, che la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono l'effettiva partecipazione alla vita politica del Paese. E più specificamente all’art. 51, 1° comma, con norma di natura immediatamente precettiva e non meramente programmatica, stabilisce che “Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.”. Tuttavia, ancora oggi la scarsa partecipazione delle donne alla vita politica del Paese è un problema largamente avvertito dall'opinione pubblica e costituisce peraltro un dato incontrovertibile, considerata, ad esempio, la bassa percentuale di donne elette nel Parlamento. Ciò che non comporta un deficit democratico, giacché la scelta degli eletti è espressione del libero voto dei cittadini, e però implica un difetto di rappresentatività della parte femminile della popolazione e contrasta sia con il dato numerico, in quanto le donne costituiscono la maggioranza del corpo elettorale, sia con il livello culturale e professionale raggiunto dalle donne in ogni campo della società civile. Di qui la necessità di adottare varie soluzioni per promuovere l’equilibrata rappresentanza di genere, fra cui l’adozione di previsioni normative, del tipo di quella oggetto della sentenza in commento, mirate in tal caso ad assicurare la partecipazione delle donne alla composizione degli organi esecutivi dei Comuni in condizioni di pari opportunità. 

Molte di queste misure sono state introdotte dalla L. 23 novembre 2012, n. 215, “Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle pubbliche amministrazioni.”, che, con l’obiettivo di garantire la parità di genere tra uomini e donne nel particolare ambito dell’accesso alle cariche elettive, ha modificato in più parti gli artt. 71 e ss. del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, individuando tre livelli di tutela crescente, la cui applicazione dipende dal numero di abitanti del Comune interessato dalla competizione elettorale, ma ad esempio, quanto alle liste dei candidati al consiglio comunale, introducendo delle previsioni comuni secondo cui: “Nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Nelle medesime liste…nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati…”. Ed anche che “Nel caso di espressione di due preferenze, esse devono riguardare candidati di sesso diverso della stessa lista, pena l'annullamento della seconda preferenza.”. 

Con riferimento al tema specifico della rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali, è recentemente intervenuto il Consiglio di Stato, Sezione III, con l’ordinanza 4 giugno 2021, n. 4294, con cui ha rimesso alla Corte costituzionale la disciplina dell’obbligo di rappresentatività di entrambi i sessi, nelle liste elettorali nei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, in quanto priva della previsione di sanzione per il caso di violazione di tale obbligo. In particolare, il Consiglio di Stato ha reputato insufficiente la previsione di riequilibrio di genere contenuta nell’articolo 71, comma 3-bis, del d.lgs. n. 267 del 2000 (secondo cui: “Nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Nelle medesime liste, nei comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati, con arrotondamento all'unità superiore qualora il numero dei candidati del sesso meno rappresentato da comprendere nella lista contenga una cifra decimale inferiore a 50 centesimi") ed ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale di quest’ultima norma nella parte in cui non prevede la necessaria rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali nei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, nonché dell’art. 30 lett. d) bis e lett. e) del DPR 570/60, nella parte in cui esclude dal regime sanzionatorio sub specie “esclusione della lista”, le liste elettorali presentate in violazione della necessaria rappresentatività di entrambi i sessi in riferimento ai comuni con meno di 5.000 abitanti. E ciò in quanto tali norme risultano in contrasto con gli artt. 51, 3, 117 comma 1 (quest’ultimo in relazione all’art. 14 CEDU, art. 1 Protocollo Addizionale n. 12) della Costituzione.

I passaggi logico-argomentativi più significativi di questa importante ordinanza sono sostanzialmente sei, e cioè: 1) la questione della parità di genere rispetto all’accesso alle cariche pubbliche elettive incide sul riconoscimento della piena capacità giuridica di diritto pubblico della donna;

2) il diritto fondamentale all’elettorato passivo è un diritto politico fondamentale garantito con i caratteri propri dell’inviolabilità ai sensi dell’articolo 2, della Costituzione;

3) una democrazia moderna non può trascurare di attivare meccanismi di riequilibrio della rappresentanza di genere ed interventi legislativi di tipo promozionale, soprattutto nelle aree urbane a bassa densità demografica, per le minori opportunità che alcuni piccoli o piccolissimi centri offrono rispetto alle grandi aree urbane;

4) la distinzione tra differenziazione e discriminazione è una questione seria e deve sempre essere vagliata attentamente, perché impatta sulla effettività della partecipazione attiva della donna alla vita politica ed amministrativa del Paese, con il rischio di esclusione di milioni di cittadine dalla gestione della cosa pubblica;

5) la promozione dell’equilibrata rappresentanza di genere non è un privilegio per la donna, ma una conquista della società, perché garantisce l’approvvigionamento al modus operandi delle Istituzioni, di tutto quel patrimonio, umano, culturale, sociale, di sensibilità e di professionalità, che caratterizza le moderne comunità politiche (citando Tar Lazio, sez. II, 25 luglio 2011, n. 6673, richiamata da Tar Lazio n. 4706 del 2021, organi squilibrati nella rappresentanza di genere, oltre ad evidenziare un deficit di rappresentanza democratica dell’articolata composizione del tessuto sociale e del corpo elettorale, risultano anche potenzialmente carenti sul piano della funzionalità, perché sprovvisti dell’apporto collaborativo del genere non adeguatamente rappresentato);

6) la discriminazione nei confronti del genere meno rappresentato potrebbe dare luogo ad una duplice irragionevolezza:

- tra generi: quello maschile (statisticamente più rappresentato) e quello femminile;

- all’interno dello stesso genere femminile, tra i Comuni con più di 5.000 abitanti (in cui è assicurata la presenza delle donne) e quelli con meno di 5.000 abitanti.

Di questo tema si è infine discusso anche in un recente Convegno, tenutosi a Palazzo Spada a Roma il 26 novembre 2021, organizzato dal Comitato Pari Opportunità della Giustizia amministrativa e dall’Ufficio Studi, Massimario e Formazione della Giustizia amministrativa, in occasione della giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne



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