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Operazioni elusive e interposizione di persona

aggiornamento a cura di Alma Chiettini, Giudice tributario • mag 11, 2021

Cassazione Civile, Sez. V, 28 aprile 2021, n. 11151

Interposizione di persona – Contribuente con redditi di cui appare titolare un altro soggetto – Contestazioni dell’Amministrazione finanziaria sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti – Individuazione della reale sostanza economica dell’operazione.


La disposizione antielusiva generale sull’interposizione di persona è contenuta nell’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi del quale “in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.

Costituisce ius receptum che tale norma imputa al contribuente i redditi formalmente intestati a un altro soggetto quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, quest’ultimo ne risulti l’effettivo titolare. E ciò senza distinguere tra interposizione fittizia e interposizione reale, sicché la sua applicazione non è limitata alle sole operazioni simulate. Difatti, la disciplina sull’interposizione “non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta”. Ne deriva che “il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali”.

Per cui, in sostanza, la disposizione in esame:

- “considera elusive le operazioni, siano esse simulate o reali, che integrano il mezzo per aggirare l’applicazione della normativa fiscale sfavorevole”;

- “colpisce ogni uso improprio o ingiustificato di strumenti giuridici, pur di per sé legittimi, quando l’uso che se ne fa mira a realizzare l’elusione”.

E spetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di spiegare perché la forma giuridica impiegata presenti caratteri anomali o inadeguati rispetto all’operazione economica intrapresa, mentre ricade sul contribuente l’onere di provare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti che giustifichino l’operazione come strutturata.

Facendo applicazione di detti principi, la Suprema Corte ha esaminato il caso di una società non quotata, a ristretta base partecipativa riconducibile a quattro nuclei familiari, che aveva emesso un prestito obbligazionario decennale interamente sottoscritto dai soci. Gli interessi passivi erano stati dedotti dall’imponibile della società come oneri finanziari ed erano stati tassati in capo ai soci-sottoscrittori del prestito con l’aliquota agevolata del 12,5 per cento. Ha contestualmente rilevato che la società non aveva ragioni per accedere al finanziamento e, comunque, che se avesse fatto ricorso al credito bancario avrebbe scontato interessi passivi più bassi, mentre le obbligazioni venivano remunerate a tassi doppi e tripli rispetto a quelli ordinariamente praticati. Inoltre, ha osservato che i soci avrebbero potuto finanziare la società accordandole un prestito infruttifero o con un aumento di capitale. La Corte di legittimità ha concluso che ricorreva l’ipotesi dell’interposizione perché la società aveva “elusivamente traslato” sui soci l’utile di esercizio avvalendosi dello strumento, in sé legittimo, ma “piegato a finalità elusive”, dell’emissione del prestito obbligazionario. Sicché “la ratio giustificatrice dell’operazione, la sua autentica sostanza economica, era non l’(apparente) emissione del prestito obbligazionario ma la distribuzione degli utili ai soci (le persone realmente interposte) al fine di ottenere un indebito risparmio d’imposta, con ciò attuandosi, anche grazie alle peculiarità del prestito (interamente sottoscritto dai soci), mercè il ricorso ad uno strumento giuridico (il prestito obbligazionario) concepito per ben altre finalità, un risultato elusivo, quale, appunto, la traslazione del reddito dalla base imponibile di un soggetto (la società) a quella di altri (i soci obbligazionisti).

Per giungere a questa conclusione la Corte ha rammentato che occorre “volgere lo sguardo al di là dell’apparenza negoziale … e individuare la reale sostanza economica dell’operazione”.



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