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L’esame di avvocato in periodo di pandemia: uno strano caso di “ingiusto mezzo”

di Paolo Nasini • mar 14, 2021

Talvolta, il tentativo di modificare le regole del gioco cercando di addivenire a un compromesso tra quello che avrebbe dovuto e ciò che può in concreto essere, può generare delle soluzioni particolarmente irragionevoli e inidonee, a ben vedere, a raggiungere il fine che si intende perseguire.

Nella consapevolezza dell’eccezionalità di una pandemia e dei problemi pratici che ciò comporta, in relazione alle difficoltà di organizzare la compresenza fisica di migliaia di persone per sostenere delle prove scritte, il legislatore “emergenziale” (che poi, di fatto, è il Governo e non il Parlamento) si è trovato di fronte a tre possibili scelte: provare a gestire in modo ordinato e rispettoso del distanziamento personale la procedura ordinaria, rinviare ulteriormente lo svolgimento dell’esame, o elaborare regole straordinarie di valutazione dei candidati.

Con il d.l. 13 marzo 2021, n. 31 (recante “Misure urgenti in materia di svolgimento dell'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato durante l'emergenza epidemiologica da COVID-19”), il Consiglio dei Ministri ha imboccato la terza strada, sia pure limitatamente alla sessione di esame indetta con decreto del Ministro della Giustizia del 14 settembre 2020.

In particolare, è stato stabilito che l’esame di Stato si articoli in due prove orali.

Con riferimento alla prima prova orale, la stessa avrà ad oggetto “l'esame e la discussione di una questione pratico-applicativa, nella forma della soluzione di un caso, che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale, in una materia scelta preventivamente dal candidato tra le seguenti: materia regolata dal codice civile; materia regolata dal codice penale; diritto amministrativo (..)”.

La sottocommissione, quindi, prima dell'inizio della prima prova orale, “deve predisporre per ogni candidato tre quesiti per la materia prescelta, ognuno dei quali collocato all'interno di una busta distinta e numerata”.

Sotto il profilo operativo, viene previsto che “per lo svolgimento della prima prova orale è assegnata complessivamente un'ora dal momento della dettatura del quesito: trenta minuti per l'esame preliminare del quesito e trenta minuti per la discussione. Durante l'esame preliminare del quesito, il candidato può consultare i codici, anche commentati esclusivamente con la giurisprudenza, le leggi ed i decreti dello Stato. Scaduti i trenta minuti concessi per l'esame preliminare del quesito, il segretario provvede al ritiro dei testi di consultazione nella disponibilità dal candidato. Al candidato è consentito, per il mero utilizzo personale, prendere appunti e predisporre uno schema per la discussione del quesito utilizzando fogli di carta messi a disposizione sul banco, prima della prova, e vistati da un delegato della sottocommissione scelto tra i soggetti incaricati dello svolgimento delle funzioni di segretario[1].

La seconda prova orale, invece, deve durare non meno di quarantacinque e non più di sessanta minuti per ciascun candidato. Essa si svolge a non meno di trenta giorni di distanza dalla prima e consiste:

a) nella discussione di brevi questioni relative a cinque materie scelte preventivamente dal candidato, di cui: una tra diritto civile e diritto penale, purché diversa dalla materia già scelta per la prima prova orale; una tra diritto processuale civile e diritto processuale penale; tre tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto tributario, diritto  commerciale, diritto del  lavoro,  diritto  dell'Unione  europea, diritto internazionale privato, diritto ecclesiastico. In caso di scelta della materia del diritto amministrativo nella prima prova orale, la seconda prova orale ha per oggetto il diritto civile e il diritto penale, una materia a scelta tra diritto processuale civile e diritto processuale penale e due tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto tributario, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto dell'Unione europea, diritto internazionale privato, diritto ecclesiastico;

b) nella dimostrazione di conoscenza dell'ordinamento forense e dei diritti e doveri dell'avvocato.

Dall’esame della struttura della prima prova orale, per come normativamente costruita, appare evidente che il legislatore abbia inteso sostituire il c.d. parere (e l’atto) con la soluzione ragionata e spiegata oralmente di un “caso”: il “quesito”, in questo senso, se interpretato alla luce della prima parte dell’art. 2, non può limitarsi ad una domanda teorico-pratica, anche di largo respiro, ma deve avere la “forma della soluzione di un caso”, cioè deve consistere in una articolata fattispecie in cui vengano in gioco elementi di diritto sostanziale e processuale, da applicare alla specificità della situazione concreta.

Ebbene, partendo da questo dato normativo, si palesano con evidenza le incongruenze della “soluzione” approntata dal legislatore.

In primo luogo, viene in rilievo l’esiguità del tempo a disposizione del candidato.

Se consideriamo che nella versione “ordinaria” dell’esame di abilitazione per le prove scritte i candidati hanno a disposizione un tempo di ben sette ore, un tempo totale di un’ora è evidentemente irrisorio; peraltro, a fronte di un tempo così esiguo, rispetto all’ordinario, ancor meno ragionevole è la scelta di “spezzarlo in due”, concedendo solo mezz’ora per cercare la normativa di riferimento, inquadrare la problematica, trovare la soluzione, organizzare un discorso coerente e che dia conto di tutte le questioni e di tutti i passaggi logici, per poi prevedere un tempo – eccessivo – di mezz’ora per esporre oralmente il tutto.

E’ chiaro, infatti, che il “grosso” del lavoro sta nella prima parte della prova, e non nella seconda, la quale, in realtà può essere debitamente ridotta ad un quarto d’ora.

Resta evidente, in ogni caso, che un’ora di tempo complessiva è un termine quasi irreale e comunque inidoneo a far emergere le effettive capacità di ragionamento e di soluzione che la prova scritta è ordinariamente tesa a dimostrare.

Il che apre anche la strada a un esito valutativo caratterizzato, nel suo complesso, da una duplicità di alternative, entrambe discutibili, e poste l’una all’estremità dell’altra: o la commissione di esame adotta lo stesso grado di severità che normalmente viene riservato alla correzione degli scritti (e allora si profila una percentuale di bocciature altissima) o sceglie la strada di un colloquio “blando” e quasi di stile (e allora si profila una sorta di ammissione di massa al secondo orale).

Senza dimenticare che un esito così irragionevole, dipendendo dalla scelta della singola commissione, renderebbe ancora più evidente la significativa differenza tra percentuali di ammissione che già oggi esiste tra i candidati, a seconda della Corte di appello a cui è destinata la correzione dei loro scritti.   

Se, poi, la questione si sposta sulla intrinseca difficoltà o complessità dei “quesiti”, nel senso che lo standard degli stessi, per renderli compatibili al tempo così esiguo, viene ad essere molto meno complesso rispetto alla prova scritta “ordinaria”, allora nuovamente viene in evidenza una incongruenza logica: se si intende “condizionare” il conseguimento dell’abilitazione alla dimostrazione, da parte del candidato, di idonee capacità deduttivo-argomentative, per l’accertamento delle quali normalmente sono sottoposte questioni complesse, concepire una prova orale “plus”, incentrata non tanto sulla difficoltà del quesito, quanto sulla velocità e capacità di reazione del candidato, si pone al di fuori della logica e delle finalità che stanno alla base di tali prove di esame.

A ben vedere, quindi, sia che i quesiti siano complessi, sia che, a fortiori, non lo siano, una prova di esame “fast and furious” rischia di ingenerare solo una forma stressogena a carico del candidato, senza garantire l’emersione delle effettive capacità deduttive da parte dello stesso.

a contrario può valere l’obiezione per cui “un avvocato deve saper rispondere velocemente al parere richiesto dal cliente in studio”, perché chi ha lavorato presso uno studio legale sa che la dinamica “normale” nel rapporto cliente/avvocato non è così banale, e che ordinariamente il “buon” avvocato deve esaminare in modo approfondito le questioni che gli vengono sottoposte, prima di rendere un parere deontologicamente e professionalmente adeguato.

Peraltro, è superfluo sottolineare come, specialmente nel diritto civile e nel diritto amministrativo, dove l’attività dell’avvocato si esplica al 90% per iscritto, l’analisi della capacità di scrittura non può essere in alcun modo sopperita dalla valutazione, magari anche approfondita, delle abilità dialettiche ed espositive orali del candidato.

Non è poi meno preoccupante, rispetto alla effettiva correttezza della procedura immaginata, il fatto che, mentre nella prova di esame “ordinaria” il testo delle tracce è unico per tutti i candidati d’Italia, nel caso di specie il quesito cambia di volta in volta “per ciascun candidato”, il che, oltre a implicare un lavoro molto dispendioso per le commissioni, può determinare delle ingiustificate disparità, anche rilevanti, a carico dei candidati stessi.

Né, a tale riguardo, vale sottolineare come ciò accada normalmente, per la (seconda) prova orale; invero, la “cifra” di difficoltà della prima prova orale, così come accade per la prova scritta, non è paragonabile con quella della seconda, che mira a testare la conoscenza della materie da parte del candidato, ma non le sue capacità deduttivo-argomentative, il che imporrebbe la necessità di garantire, nella prima prova, una maggiore uniformità in ordine alla base di giudizio delle performance dei candidati.

A questo punto, forse, una volta esclusa ancora una volta a priori la capacità infrastrutturale e strutturale dello Stato di garantire la coesistenza tra pandemia e pseudo-normalità,  sarebbe stato meglio limitarsi a prevedere che, nel corso della sola prova orale, i commissari procedessero a valutare anche la capacità di ragionamento “pratico” dei candidati, in funzione delle domande teoriche agli stessi sottoposte, piuttosto che creare una fattispecie ibrida ma inefficiente, per valutare la capacità di “aderenza” pratica delle conoscenze del candidato.

Infine, non è nemmeno chiaro per quale motivo, a differenza dell’ordinario esame da avvocato, non si possa comunque portare in sede di seconda prova orale la medesima materia scelta per la prima, visto che, comunque, la finalità e anche il tipo di domande dovrebbero essere differenti, e tendere ad accertare abilità e conoscenze a loro volta diverse, possedute dal candidato.

Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare, diceva Winston Churchill.

A volte è meglio soprassedere piuttosto che azzardare, aggiungeremmo noi.



(1) I candidati non possono portare con se' testi o scritti, anche in formato digitale, ne' telefoni cellulari, computer, e ogni sorta di strumenti di telecomunicazione, ne' possono conferire con alcuno, pena la immediata esclusione dall'esame disposta con provvedimento motivato del presidente della sottocommissione esaminatrice anche su immediata segnalazione del segretario.


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