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Spigolature 9. La teoria dell'invenzione del diritto

Sergio Conti • feb 23, 2023

L'illustre storico del diritto fiorentino Paolo Grossi, scomparso nel 2022, dopo essere stato anche presidente della Corte costituzionale, ha elaborato la teoria della “invenzione del diritto” (dal latino invenire”) secondo la quale il diritto non dovrebbe essere un comando calato dall'altro, bensì una realtà che nasce dal basso, nella società, e che il ceto dei giuristi ha il compito di ricercare e trovare.


...e il diritto si propone come oggetto di ‘invenzione’ durante tutto il lungo periodo formativo dell’antico diritto romano, durante l’intiera esperienza giuridica medievale, e ieri ed oggi nella visione del common law. Cioè in ordinamenti alieni dal concepire il ‘giuridico’ intrinsecamente vincolato al potere politico ed espressione di questo, alieni da una visione autoritaria (perché meramente potestativa) che lo collega a un comando piombante dall’alto sulla società chiamata unicamente all’obbedienza. In ordinamenti così contrassegnati è, invece, chiaro il nesso genetico fra società e diritto, la sua intima storicità e, quindi, il suo carattere di tessuto ordinante di quella, realizzàndosi in una articolazione pluralistica che coglie, come protagonisti, accanto al legislatore, i giuristi, coloro che sanno di diritto, che sono esperti di un sapere specifico e anche tecnicissimo, soprattutto gli uomini di dottrina nel vecchio diritto romano e nello ius commune medievale, soprattutto i giudici nella esperienza del common law. Tutti, ovviamente, impegnati in una attività di invenzione.


Questa originale teoria, elaborata in diversi interventi, è compiutamente esposta dal prof. Grossi nel libro “L'invenzione del diritto” Roma/Bari  2017 che organicamente li riunisce.

Un riassunto della tesi è rinvenibile nella relazione tenuta alla scuola della magistratura a Scandicci nel 2016 - rinvenibile sul sito della corte costituzionale (all'indirizzo web https://www.cortecostituzionale.it/documenti/interventi_presidente/grossi_scandicci.pdf) - che qui si segnala intitolata: “La invenzione del diritto: a proposito della funzione dei giudici”.

L'intervento è focalizzato soprattutto a lumeggiare il radicale mutamento che sarebbe insito nella approvazione della Carta costituzionale e nella funzione centrale da essa assegnata al ruolo della Corte costituzionale.

Si riportano due brani indicativi della originalità e radicalità della tesi:


... incide in modo rilevante e imprime una caratterizzazione forte il nuovo costituzionalismo democratico inaugurato a Weimar nel 1919 e di cui è espressione fedele la ‘carta’ italiana

del 1948. Limitàndoci, per quel che serve alla presente lezione, alle vicende di casa nostra, occorre

ribadire con decisione che, per la intiera storia del diritto in Italia, la Costituzione repubblicana segna un prima e un poi, scavando un fossato di profonda discontinuità. Vale, infatti, la pena di ribadire, soprattutto agli attuali cantori e laudatori del vecchio ‘Stato di diritto’ prefascista, che il nuovo Stato costituzionale inaugurato nel rinnovamento democratico del secondo dopoguerra si propone discontinuo rispetto all’ assetto politico-sociale precedente, costruendo su fondazioni nuove una essenzialmente diversa struttura politica e un essenzialmente diverso ordinamento giuridico. Il guaio è che la stragrande maggioranza di quei personaggi culturalmente pigri che sono nel pianeta di civil law i giuristi non si è accorta, o non si è voluta accorgere, del germinare di eventi nuovi, ha persistito a cogliere la linea tra passato e presente quasi fosse un continuum, paga soltanto di riallacciare l’oggi al passato prefascista; e la Costituzione assume, di fronte a quegli occhi, quasi la forma di una nuvola galleggiante ben alta, assai distante, sulla esperienza quotidiana.


...


E’ una sorta di scrigno prezioso fatto anche di principii inespressi, che hanno solo bisogno di un interprete che li tragga dallo strato latente, trasformàndoli in strumenti corroborativi della vita delle persone nelle vicende della loro esistenza quotidiana. Nella Repubblica, fortunatamente per il cittadino italiano, questo interprete c’è, ed è la Corte Costituzionale prevista nella sua funzione di supremo organo di garanzia.


La lettura del saggio è sicuramente stimolante (perché consente di riflettere sulla fondatezza dei presupposti su cui si basa e sulla condivisibilità delle conclusioni a cui perviene) ed utile perché fornisce strumenti di comprensione del modus operandi della Corte sotto la presidenza del prof. Grossi (ma anche prima e dopo).

Pur nell'apprezzamento della giurisprudenza classica romana e del diritto medievale e di antico regime, ci si permette però di segnalare la dubbiezza della possibilità dell' applicabilità di tali principi in una società – che è del tutto differente sotto ogni punto di vista, rispetto a quelle che erano caratterizzate dalla stabilità (se non dalla immobilità) - e, per di più qualificata dalla peculiare assenza di valori assoluti, essendo la nostra (ci piaccia o no) la società del relativismo e dell'individualismo soggettivista. Inoltre il baricentro della società liberale (quale ideologicamente fondata e storicamente data) risiede nel Parlamento non nella Corte costituzionale.

Per una paradossale eterogenesi dei fini, si costruisce e teorizza la funambolica trasformazione della Corte costituzionale in ricercatrice di valori e norme nella società, trasformandone radicalmente la natura che, nella costruzione kelseniana, è quella di guardiana della grundnorm.

In altri termini, pare di assistere a trasformazioni alchemiche, dato che da una costituzione rigida si estrae il passaggio ad un sistema simile a quello di common law.



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