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Imposta sui consumi, prescrizione e diritto di difesa

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • nov 06, 2021

Corte Costituzionale 26 ottobre 2021, n. 200


Con le ordinanze nn. 5483 e 5484, del 28 febbraio 2020, la Sez. V della Corte di cassazione aveva osservato che il comma 3 dell’art. 57 del d.lgs. n. 504 del 1995 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative - t.u. accise) stabilisce che “il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo” e che “in caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito”. Aveva altresì rilevato che l’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, sulle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, prevede che l’atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni in materia tributaria deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione “o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi” quale è, appunto, quello previsto dall’57, comma 3, secondo periodo.

Pertanto, la Sezione ha affermato che in caso di comportamenti omissivi del contribuente le riportate disposizioni non prevedono una data certa di inizio della decorrenza del termine di prescrizione delle obbligazioni tributarie e delle sanzioni correlate al loro inadempimento, e che, di conseguenza, un termine iniziale indeterminato e indeterminabile comporta che il contribuente rimanga esposto per un tempo indefinito all’azione dell’Amministrazione. E tanto a differenza di quanto previsto per le imposte erariali, per le quali la decorrenza del termine prescrizionale coincide con la data di scadenza dell’obbligo inadempiuto, ossia con la consumazione dell’illecito omissivo, anche nel caso di condotta particolarmente lesiva quale quella dell’evasore totale (vedasi gli artt. 57, comma 2, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, 43, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 76, comma 1, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131). 

La Corte di legittimità ha pertanto ravvisato la lesione del principio di ragionevolezza, ai sensi dell’art. 3 Cost., in quanto la diversa disciplina contenuta nella norma censurata sarebbe frutto di discrezionalità immotivata e determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti, nonché del diritto di difesa ai sensi dell’art. 24 Cost. in relazione all’assoggettamento a tempo indeterminato del contribuente all’azione accertatrice e sanzionatoria dell’Amministrazione finanziaria. 

Con la sentenza n. 200 del 26 ottobre 2021 la Corte costituzionale ha anzitutto condiviso l’interpretazione della disposizione censurata offerta dalla Cassazione: “la norma censurata, identificando nella scoperta dell’illecito il termine di decorrenza della prescrizione del credito tributario - e della decadenza dalla pretesa sanzionatoria, per effetto del rinvio operato dall’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 - non individua in maniera certa il dies a quo di inizio del computo, così esponendo a tempo indeterminato il contribuente alle pretese del Fisco, potenzialmente avanzabili anche a distanza di decenni dall’insorgenza dell’obbligo rimasto inadempiuto, in violazione dell’art. 24 Cost. Ad aggravare il pregiudizio del diritto di difesa, quantomeno con riferimento al credito dell’imposta, concorrono l’esclusiva previsione di un termine di prescrizione - suscettibile, a differenza di quello di decadenza, di interruzione e, quindi, eventuale fonte di ulteriore indeterminatezza - nonché la circostanza che l’obbligo di conservazione documentale, funzionale a contraddire le pretese del fisco, sia previsto per un tempo molto più breve (artt. 2220 del codice civile e 8, comma 5, della l. n. 212 del 2000 nonché l’art. 15, comma 6, t.u. accise)”.

La Suprema Corte ha poi aggiunto di aver già chiarito che il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. impedisce un’indeterminata o irragionevolmente ampia soggezione del contribuente all’azione accertativa del Fisco, ancorché condizionata dal mancato compimento di una specifica attività posta dalla legge a carico del contribuente medesimo. E che l’esigenza di certezza nei rapporti giuridici impone un termine prescrizionale determinato per l’esercizio dell’azione di recupero dei tributi.

Nondimeno, sebbene sia “palese l’inadeguatezza del regime tuttora dettato dall’art. 57, comma 3, secondo periodo, t.u. accise, rispetto alle esigenze poste dall’art. 24 Cost.”, la Corte costituzionale ha affermato di non poter porvi rimedio perché la reductio ad legitimitatem auspicata dal Giudice rimettente “postula un intervento manipolativo-additivo, la cui scelta è prioritariamente affidata alla discrezionalità del Legislatore”, chiamato a un ineludibile e tempestivo intervento legislativo perché la declinazione costituzionale del diritto di difesa impedisce di lasciare il contribuente assoggettato all’azione del Fisco per un tempo indeterminato.



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