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Imposta di registro e nuova formulazione della norma

aggiornamento a cura di Alma Chiettini, Giudice tributario • apr 14, 2021

Corte Costituzionale 21 luglio 2020, n. 158 e Corte Costituzionale 16 marzo 2021, n. 39

Imposta di registro - Come si leggono e si interpretano gli atti da sottoporre all’imposta di registro? In base al principio della prevalenza della sostanza sulla forma che impone di qualificare l’atto secondo parametri di tipo sostanzialistico e non nominalistico o di apparenza, oppure secondo i principi e i concetti giuridici propri del singolo atto? - La Corte delle leggi ha definito una querelle decennale affermando che oggetto dell’imposizione di registro è l’atto presentato per la registrazione e che non assumono rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con il primo.


L’art. 20 - Interpretazione degli atti - del d.P.R. 26.4.1986, n. 131, sull’imposta di registro, così disponeva «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».

A decorrere dall’1 gennaio 2018 il testo dell’articolo è stato così modificato (dall’art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2), della l. 27.12.2017, n. 205) : «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».

Inoltre, con l’art. 1, comma 1084, della l. 30.12.2018, n. 145, è stato sancito che «L’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131».

La Corte di Cassazione aveva ritenuto che l’intervento normativo del 2017, che ha fatto divieto di prescindere da elementi extratestuali e da atti collegati a quello sottoposto a registrazione, non avesse valorizzato il principio, imprescindibile e anche storicamente radicato, della “prevalenza della sostanza sulla forma”, che impone di qualificare l’atto secondo parametri di tipo sostanzialistico e non nominalistico o di apparenza. Ad avviso del Giudice di legittimità, che ha richiamato il suo consolidato orientamento, tale principio doveva comportare la necessaria considerazione anche di elementi esterni all’atto e, in particolare, anche di elementi desumibili da atti eventualmente collegati con quello presentato alla registrazione, quindi in senso opposto a quanto disposto dalla nuova formulazione dell’art. 20. Inoltre, il tributo di registro non si presentava più (se non in minima parte) come una tassa con funzione corrispettiva del servizio di registrazione, assumendo i connotati di un’imposta il cui presupposto era rivelatore di una determinata forza economica, indice di capacità contributiva proprio in ragione del contenuto reale e della natura sottostante dell’atto. E ancora, il termine “atto” presentato alla registrazione avrebbe dovuto essere inteso come negozio complessivo, anche se non interamente espresso in un unico documento, per la cui interpretazione dovevano necessariamente essere utilizzati elementi extratestuali reperibili dall’interprete, compresi gli atti collegati contenuti in distinti documenti (ancorché non enunciati, né menzionati nell’atto presentato alla registrazione). 

Un’altra parte rimettente (la Commissione tributaria provinciale di Bologna) ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1084, della l. n. 145 del 2018 perché il Legislatore, nel disporre che l’intervento normativo del 2017 “costituisce interpretazione autentica” dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, avrebbe in realtà imposto la retroattività di quest’ultima norma “nella sua nuova ridotta portata”, in violazione di plurimi parametri costituzionali, fra i quali il più rilevante appariva la denunciata “mancanza di un persistente contrasto interpretativo da risolvere in nome del supremo principio, nazionale e sovranazionale, di certezza del diritto”, in quanto la giurisprudenza di legittimità aveva “pressoché unanimemente affermato la natura innovativa e non interpretativa dell’intervento legislativo del 2017”; inoltre, prima del suddetto intervento la situazione di “certezza del diritto” era raggiunta alla luce dell’uniforme applicazione dell’art. 20 da parte della giurisprudenza di legittimità. Per cui il Legislatore, anziché tutelare detto principio, avrebbe in realtà “forzato l’applicazione” della riformulazione operata dall’art. 1, comma 87, lettera a), della l. n. 205 del 2017, imponendola a fattispecie poste in essere nel vigore del previgente art. 20.


Con la pronuncia n. 158 del 2020 la Corte Costituzionale ha subito chiarito che l’interpretazione evolutiva cui la giurisprudenza della Corte di Cassazione era pervenuta circa la rilevanza della causa concreta del negozio ai fini della tassazione di registro “non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata”. La presa di posizione del Legislatore del 2017, che ha affermato “la tassazione isolata del negozio veicolato dall’atto presentato alla registrazione secondo gli effetti giuridici da esso desumibili”, è “coerente con i principi ispiratori della disciplina dell’imposta di registro e, in particolare, con la natura di ‘imposta d’atto’ storicamente riconosciuta al tributo di registro dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta”. E, per quanto possa apparire, de iure condendo, in parte obsoleta rispetto all’evoluzione delle tecniche contrattuali, tale natura non risulta superata dal Legislatore positivo, tenuto conto dell’attuale impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro. Per cui, in tale contesto, il censurato intervento normativo - “esercizio non manifestamente arbitrario della discrezionalità del Legislatore” - è “finalizzato a ricondurre il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione, in linea con le specificità del diritto tributario, risulta circoscritta agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione (ovverossia al gestum, rilevante secondo la tipizzazione stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico), senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori”. 


Con la pronuncia n. 39 del 2021 la Corte Costituzionale ha precisato che “non è dirimente stabilire se la novella del 2017 abbia carattere innovativo o interpretativo” perché ciò che risulta realmente decisivo è che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e che non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti. E in tal senso ha ribadito che il Legislatore ha ricondotto il citato art. 20 all’interno del suo alveo originario, dove l’interpretazione risulta circoscritta agli effetti giuridici del singolo atto presentato alla registrazione. 

Ed entrambe le pronunce hanno affermato che “l’interpretazione evolutiva di detto art. 20 incentrata sulla nozione di ‘causa reale’ provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione dell’art. 10 bis della l. 27.7.2000, n. 212, perché consentirebbe all’Amministrazione finanziaria di operare in funzione antielusiva senza applicare le garanzie del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale”.


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