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I soggetti passivi dell’obbligazione tributaria

dalle Lezioni... • apr 21, 2021

Soggetto passivo dell’obbligazione tributaria è il soggetto che risulta debitore dell’imposta perché si sono verificati fatti e situazioni, previsti dalla legge come presupposto tributario, che sono a lui riferibili o ascrivibili.

Dal punto di vista del diritto tributario, per essere soggetto passivo non è necessario avere la personalità giuridica ma un’autonomia patrimoniale e giurisdizionale, tale cioè da permettere di imputare a un soggetto determinato l’obbligazione tributaria; a tali fini, basta essere individuabili come organizzazioni di beni o di persone.

NelI'Ires, sono soggetti passivi anche "le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei quali il presupposto si verifica in modo unitario e autonomo".

La situazione dei soggetti sui quali si deve effettuare per legge il prelievo tributario si cumula normalmente con la responsabilità per il pagamento del tributo e con la individuazione soggettiva ai fini dell’esecuzione coatta, in casi di mancato adempimento volontario.

Tuttavia, esistono delle particolari circostanze in cui l’unitarietà dell’individuazione del soggetto passivo si frammenta, e si affiancano o si sostituiscano all’obbligato principale altri soggetti.

Una prima situazione particolare è quella della obbligazione solidale, che nasce, ai sensi del codice civile, quando vi sono due o più debitori tenuti ad adempiere l’intera obbligazione.

In tal caso, l’amministrazione finanziaria può esigere l’intera prestazione da ciascun debitorie e colui che adempie all’obbligo può rivalersi nei confronti degli altri obbligati, esigendo dagli stessi la parte di imposta che la legge mette a loro carico.

Se la solidarietà è paritaria (ad esempio: parti contraenti ai fini dell’imposta di registro o eredi per l'imposta sulle successioni), l’imposta viene ripartita internamente, in base alle norme del codice civile in materia (artt. 1298 e ss.), in ragione della partecipazione dei coobbligati al presupposto, secondo la quota riferibile a ciascuno di essi; quando è possibile imputare per quote il presupposto, la stessa suddivisione si riflette sulla divisione del debito nei rapporti interni, ma quanto invece la suddivisione non è possibile, e non vi sono norme ad hoc (ad esempio, nella compravendita, tra le spese del contratto, poste a carico del compratore, deve ricomprendersi anche l’imposta di registro), non resta che considerare uguali le quote, ferma restando la libertà delle parti di disciplinare in via convenzionale la ripartizione tra di esse dell’onere tributario. 

Se invece la solidarietà è dipendente – ovvero uno dei soggetti obbligati non ha realizzato il presupposto d’imposta ma è in ogni caso collegato al fatto imponibile, come ad esempio il notaio che stipula l’atto per l’imposta di registro -, il soggetto che non ha realizzato il presupposto può rivalersi sugli obbligati principali per l’intero importo dovuto e versato al fisco.

Altra ipotesi di solidarietà nell’obbligazione tributaria si ha nella rappresentanza necessaria (ad esempio: rappresentante legale del minore e rappresentante legale delle persone giuridiche) e nella rappresentanza volontaria o negoziale, laddove a un soggetto viene affidata tramite mandato la trattazione di questioni inerenti al rapporto tributario (ad esempio: coniuge, avvocato o funzionario dei Centri di assistenza fiscale).

In questi ultimi casi, il rappresentante volontario non risponde del pagamento del tributo, mentre è ordinariamente obbligato per le sanzioni pecuniarie.

Se infine una persona fisica o giuridica, o comunque un soggetto fornito di personalità giuridica tributaria, scompare, non per questo si produce un’estinzione del debito d’imposta che sia sorto prima della sua scomparsa, e ciò anche se lo stesso non sia stato ancora accertato.

In questi casi, il soggetto che subentra negli obblighi inerenti a un determinato rapporto d’imposta, in quanto destinatario di obblighi e diritti in via successoria, deve assolvere anche al debito tributario.

Se vi sono più successori – come ad esempio in caso di pluralità di eredi di una persona deceduta – gli stessi subentrano non solo nell’obbligazione tributaria, ma anche negli obblighi formali a cui era tenuto il precedente debitore.

Trova ordinariamente applicazione l'art. 752 c.c., a norma del quale gli eredi non rispondono in solido dei debiti ereditari, ma in proporzione delle rispettive quote, salvo che per i debiti derivanti da imposte sui redditi, per i quali vi è una norma ad hoc che dispone la solidarietà degli eredi per le obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa.

Un'altra disposizione particolare, sempre con riferimento alle imposte sui redditi, è stata prevista per quanto riguarda i termini pendenti, in caso di decesso prima dell’assolvimento dell’obbligo di dichiarazione da parte del debitore d’imposta; tali termini, infatti, sono prorogati di sei mesi in favore degli eredi, qualora scadano entro quattro mesi dal decesso del de cuius, previa comunicazione da parte degli eredi, all’Agenzia delle entrate competente in base all’ultimo domicilio fiscale del defunto, delle proprie generalità e residenza rilevante ai fini tributari.

In materia di IVA, invece, gli eredi possono adempiere agli obblighi fiscali derivanti da operazioni effettuate dal de cuius, entro tre mesi dalla morte di questi.

La cancellazione di una società dal registro delle imprese ne determina l'estinzione, con il relativo fenomeno successorio previsto dalla legge, ma l'art. 28, comma 4 del d.lgs. n. 175 del 2014 ha disposto in via derogatoria che la società cancellata sopravvive per cinque anni agli effetti fiscali, con norma che è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, in quanto rientrante tra le disposizioni orientate a preservare la garanzia dell'adempimento delle obbligazioni tributarie, e che dunque segnano uno scostamento dalla disciplina ordinaria ragionevole, proprio in quanto correlato ad una consentita condizione di maggior favore per l'amministrazione finanziaria.

Figure particolari e rilevanti per il diritto tributario sono quelle del sostituto d’imposta e del responsabile d’imposta.

Il primo è colui che è obbligato in base alla legge al pagamento di imposte in luogo di altri per fatti e situazioni a questi riferibili, il secondo è un soggetto che è obbligato per legge al pagamento dell’imposta pur non avendo concorso a realizzare il presupposto dell’imposta, ma per avere posto in essere una fattispecie ulteriore e diversa.

Nella figura del responsabile d’imposta (che è un’ipotesi di solidarietà tributaria dipendente), si realizza un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra la fattispecie principale e la fattispecie secondaria; se viene a mancare l’obbligazione principale, viene meno anche l’obbligazione del responsabile.

Ciò però non ha rilievo nei confronti dell’amministrazione finanziaria, in quanto ai suoi occhi il responsabile d’imposta è un coobbligato in solido, anche dal punto di vista degli obblighi formali, come nella solidarietà paritaria; nei rapporti interni, invece, il responsabile d’imposta, se paga il tributo, ha diritto di regresso per l’intero e non pro quota.

Oltre all’esempio sopra descritto del notaio rispetto all’imposta di registro, sono casi particolari di responsabilità d’imposta quelli della società controllante rispetto alle società controllate (la controllante è debitrice obbligata in solido anche per i debiti tributari delle controllate, pur non avendo realizzato il relativo presupposto fiscale), del sostituto d’imposta iscritto a ruolo per imposte per le quali non ha effettuato né le ritenute né i versamenti, del rappresentante fiscale a fini IVA e del cessionario d’azienda (il quale risponde di imposte e sanzioni dovute dal cedente riferibili alle violazioni commesse nell’anno di cessione e nei due precedenti, ma con il beneficio della preventiva escussione del cedente, ed entro il limite del valore dell’azienda ceduta, salvo che venga dimostrato, anche tramite presunzioni, che la cessione sia stata attuata in frode dei creditori tributari).

Nel caso del sostituto d’imposta, l’obbligo di versamento dell’imposta grava su di lui, che pure non realizza il presupposto, e ha come corrispondente causa il diritto di operare una ritenuta nei confronti del sostituito, il quale percepisce dal sostituto somme rilevanti ai fini dell’imposta sul reddito.

E’ una sostituzione soggettiva, da tenere distinta dalla sostituzione oggettiva, che si ha quando la legge prevede un regime fiscale sostitutivo, con la sottoposizione di un presupposto d’imposta ad un regime fiscale diverso da quello ordinario.

Il sostituto è obbligato, pena l’inflizione di sanzioni amministrative, ad operare la ritenuta, e il suo obbligo è una garanzia di attuazione del tributo per il fisco.

Diventano sostituti d’imposta i soggetti passivi IRES, le società di persone, le associazione, gli imprenditori individuali, coloro che esercitano arti e professioni e i curatori fallimentari, allorché corrispondono le somme (per lo più formanti reddito di lavoro dipendente, compensi di lavoro autonomo e interessi, dividendi e altri redditi di capitale) individuate dagli artt. 24 e ss. del d.P.R. n. 600 del 1973.

Il sostituto, nel momento in cui corrisponde le somme soggette a ritenuta, ha il diritto-dovere di trattenerne una frazione, in forza della norma sulla ritenuta, che incide dunque sul regime del rapporto civilistico.

La sostituzione tributaria può essere definitiva o a titolo di acconto, a seconda che comporti l’applicazione di una aliquota fissa su di un determinato provento, che è così sottratto alla sua inclusione nel reddito complessivo del percipiente – reddito che ordinariamente sarebbe tassato progressivamente – o si limiti ad affiancare al debitore principale, soggetto passivo dell’obbligazione tributaria commisurata al presupposto e all’intero periodo d’imposta, un soggetto tenuto ad obblighi di natura diversa, che presuppongono l’erogazione, nel corso del periodo d’imposta, di somme al sostituito, e si sostanziano nella ritenuta e versamento di una somma pari alla ritenuta. 

Nel caso di sostituzione a titolo di imposta o definitiva viene realizzato nello stesso tempo una sostituzione in senso oggettivo – regime fiscale sostitutivo della ordinaria imposta sul reddito – e una sostituzione in senso soggettivo (obbligazione tributaria posta a carico di un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto).

E’ un sistema derogatorio rispetto alla tassazione globale e progressiva delle persone, ed è perciò prevista in un numero limitato di casi (ad esempio ritenute su redditi di capitali), l’imposta è proporzionale e il sostituto è unico debitore verso il fisco dell’imposta, mentre il sostituito non deve neanche dichiarare i proventi soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.

Tra sostituto e sostituito vi è un rapporto di natura privata dal quale scaturisce un credito del sostituito nei confronti del sostituto, e sull’importo di questo credito il sostituto trattiene una somma pari all’importo da versare al fisco.

Sostituto e sostituito diventano coobbligati in solido verso l’amministrazione finanziaria per il debito d’imposta soltanto se il sostituto omette sia la ritenuta che il versamento.

Nella sostituzione a titolo d’imposta, in altri termini, fatta eccezione per la situazione patologica sopra descritta – doppia omissione del sostituto – il soggetto passivo resta soltanto uno, ovvero il sostituto (mentre ad esempio il responsabile d’imposta, pur non avendo  realizzato il presupposto, è coobbligato anch’egli con il debitore principale fin dall’origine).

Nella sostituzione a titolo di acconto, invece, il sostituto non è debitore in luogo del soggetto che sarebbe obbligato secondo i criteri generali della soggettività passiva dell’obbligazione, ma è un soggetto passivo di un obbligo di ritenuta e di versamento.

Il sostituito non ha alcun obbligo verso il fisco derivante dalla percezione delle somme soggette a ritenuta, ma è tenuto a subire le ritenute che opera su tali somme il sostituto; tali ritenute costituiscono un acconto dell’imposta che sarà dovuta sul complesso dei redditi di quel periodo d’imposta, di modo che, quando si esaurisce tale periodo, il sostituito avrà il diritto di portare in detrazione l’importo corrispondente alle ritenute subite rispetto all’imposta complessiva risultante dalla dichiarazione dei redditi.

Tale diritto viene acquisito per il solo fatto di avere subito le ritenute, di modo che se il sostituto non versa le somme ritenute, il fisco non può agire nei confronti del sostituito.

La sostituzione a titolo di acconto non implica dunque una fattispecie di regime sostitutivo, perché l’imposta sui redditi resta di natura progressiva, ma semplicemente viene corrisposta in anticipo, tramite i singoli acconti trattenuti dal sostituto.

Nel caso in cui il sostituto non opera le ritenute e non versa, il sostituito deve corrispondere l’imposta dovuta, senza potere operare detrazioni, assolvendo così il relativo debito tributario, fatte salve le sanzioni previste per l’inadempimento degli obblighi formali gravanti sul sostituto.

Il sostituto che non effettua le ritenute d’acconto rimane obbligato nei confronti del fisco, ma al tempo stesso conserva il suo diritto-dovere di rivalersi sul sostituito, eventualmente in via successiva.

Pur non essendo previsto normativamente a carico del sostituito alcun obbligo di corrispondere l’importo che doveva formare oggetto di ritenuta, parte della giurisprudenza ha sostenuto a lungo che l’amministrazione finanziaria potesse non solo accertare, nei confronti del sostituito, i redditi sui quali è stata omessa la ritenuta d’acconto – il che è normale conseguenza della nascita del presupposto d’imposta -, ma anche riscuotere nei suoi confronti le somme che il sostituto ha omesso di versare, pur operando la ritenuta.

E ciò in quanto si diceva che il contribuente che percepisce somme soggette a ritenuta d’acconto sarebbe ab origine debitore verso il fisco, in solido con il sostituto.

In tal caso il sostituito dovrebbe però subire un doppio prelievo, seppure con diritto di regresso verso il sostituto; le Sezioni Unite, nel 2019, hanno superato questo orientamento, affermando che, nel caso di ritenuta a titolo di acconto operata ma non versata dal sostituto d’imposta, è responsabile solo il sostituto, stante l’assenza, in questo caso, di un'ipotesi di solidarietà tributaria tra i due soggetti per il pagamento della ritenuta, solidarietà invece sussistente nell’ipotesi di sostituzione a titolo d’imposta.

All’interno dei soggetti passivi dell’obbligazione tributaria, si distingue infine tra contribuente di diritto e contribuente di fatto, a seconda che si tratti del soggetto tenuto a pagare il tributo e soggetto che sopporta l’onere del tributo senza poterlo riversare su altri (ciò avviene ad esempio nelle imposte sui consumi, tramite una traslazione di fatto dal soggetto passivo/operatore commerciale al consumatore finale).

In altri casi, peraltro, la traslazione è espressamente prevista dalla legge (ad esempio, tramite il diritto-obbligo dei soggetti passivi IVA di addebitare l’imposta ai loro clienti).

Si parla ancora di diritto di rivalsa quando il soggetto passivo è un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto: tale diritto o è espressamente conferito dalla norma tributaria o deriva dall’applicazione delle norme civilistiche, e nel primo caso fa parte del tributo inteso come istituto giuridico, ossia come insieme di norme corrispondenti ad un ratio unitaria.

Se le norme tributarie qualificano la rivalsa come obbligatoria, sono nulli i patti con cui l’avente diritto rinuncia alla rivalsa stessa, accollandosi in via definitiva l’onere economico derivante dal tributo.

Se la rivalsa non è obbligatoria, resta spazio per i patti di accollo dell’imposta; l’accollo può essere interno, senza produrre effetti per l’amministrazione finanziaria, o con rilievo esterno, secondo quanto stabilito dall’art. 8, comma 2 dello Statuto dei diritti del contribuente (“E’ ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente").

L’accollo esterno è dunque sempre cumulativo.

Il problema dei patti sull’imposta è la loro compatibilità con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, principio che seppure è ordinariamente rivolto al legislatore e regola il rapporto verticale tra legislatore stesso e contribuenti, in alcuni casi può avere diretta applicabilità anche nei rapporti tra privati, con la conseguenza della nullità del negozio che si ponga in contrasto con esso.

Al riguardo, nel 2019, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto compatibile con l’art. 53 della Costituzione la clausola con cui il conduttore di un contratto di locazione si era addossato il peso delle imposte gravanti sull’immobile ad esso locato (dovute normativamente dal locatore), ma soltanto qualora tale clausola sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locatizio complessivamente dovuto dal conduttore stesso.

Accanto al diritto di rivalsa può poi sussistere il diritto di surrogazione previsto dall’art. 1203, n. 3 del codice civile, secondo cui l’assolvimento per conto di cui vi sia tenuto del debito d’imposta comporta anche il subentro negli stessi privilegi da cui è garantito il fisco (la surrogazione è espressamente prevista dalle norme in materia di imposta di registro anche per i responsabili d’imposta).


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