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Giudici onorari e giudici ordinari: dalla tutela dello status di lavoratore alle garanzie minime di esercizio neutrale della giurisdizione

a cura di Roberto Lombardi • nov 28, 2021

Il 3 novembre 2021, le associazioni facenti parte della Consulta della magistratura onoraria (che è quella parte della magistratura assunta “a contratto” e non previo concorso pubblico), prendendo atto del denunciato comportamento omissivo del Ministro della Giustizia, hanno comunicato che i magistrati onorari si sarebbero astenuti dalle udienze e dagli altri servizi di istituto dal 23 al 27 novembre 2021.

Secondo i promotori della iniziativa di “sciopero”, sarebbe palese che le istanze della magistratura onoraria continuino a non ricevere concreto ed adeguato riscontro dal Governo, dal Ministro della Giustizia e dalle forze parlamentari, nonostante un avvio della procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea.

In particolare, è stato accolto con estremo rammarico e incredulità, da parte dei diretti interessati, il resoconto del rappresentante del Governo alla Commissione Giustizia al Senato del 27.10.2021, in ordine al preannunciato maxiemendamento volto a recepire i risultati della cosiddetta commissione ministeriale Castelli, resoconto nel quale è stato annunciato che funzionari ministeriali si sarebbero recati a Bruxelles per raccogliere informazioni sulla natura del provvedimento che la Commissione europea starebbe considerando in funzione della contestazione dell'infrazione euro-unitaria sulla materia oggetto dei disegni di legge in discussione dinanzi alla Commissione stessa.

E’ stato dunque ritenuto inaccettabile l’ennesimo rinvio richiesto della trattazione del disegno di legge, per valutare meglio le iniziative da assumere (asseritamente, per rimuovere efficacemente le cause della prospettata infrazione), né è stata ritenuta sufficiente la previsione, nella Nadef, del DDL di riforma della categoria, quale collegato alla legge di Bilancio, poiché non sarebbe ancora emerso, in alcuna sede ufficiale, il concreto apporto finanziario alla riforma che si afferma essere in itinere.

Ma di quale riforma si parla? Perché i magistrati onorari sono in agitazione?

Facciamo un passo indietro.

Il 16 luglio del 2020 la Corte di Giustizia si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale proveniente da un Giudice di pace di Bologna.

Nella causa a quo, un altro soggetto, esercente anch'egli le funzioni di Giudice di pace, ha chiamato in giudizio il Governo della Repubblica italiana per ottenere il risarcimento dei danni che avrebbe subito per violazione del diritto dell’Unione da parte dello Stato italiano.

In particolare, si trattava di un ricorrente che aveva presentato in Tribunale ricorso per decreto ingiuntivo volto ad ottenere la condanna del Governo della Repubblica italiana al pagamento dell’importo di € 4.500,00, corrispondente alla retribuzione per il mese di agosto 2018 che spetterebbe ad un magistrato ordinario con la sua stessa anzianità di servizio, oppure, in subordine, di € 3.039,76, quale risarcimento calcolato sulla base dell’indennità netta dalla stessa percepita nel mese di luglio 2018.

Nella prospettazione di parte ricorrente, tali somme avrebbero dovuto compensare e risarcire il mancato pagamento di qualsivoglia indennità nel mese di agosto 2018, per via del congedo estivo non retribuito – sulla base del contratto di lavoro in essere con il Ministero della Giustizia – in violazione della clausola 4 dell’accordo quadro e dell’articolo 7 della direttiva 2003/88, nonché dell’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

In effetti, i pagamenti percepiti dai giudici di pace (e dagli altri magistrati ordinari) sono legati al lavoro realizzato e calcolati sulla base del numero di decisioni pronunciate. Di conseguenza, durante il periodo feriale del mese di agosto, parte ricorrente nel procedimento principale non ha percepito alcuna indennità, mentre i magistrati ordinari (quelli assunti mediante concorso) hanno diritto a ferie retribuite di 30 giorni.

D’altra parte, l’articolo 24 del decreto legislativo del 13 luglio 2017, n. 116, che ora prevede per i giudici di pace la retribuzione del periodo feriale, non era applicabile all'istante in ragione della data della sua entrata in servizio (antecedente all’entrata in vigore della riforma).

La tesi portata dinanzi al Giudice europeo è che i giudici di pace sarebbero soggetti, sotto il profilo disciplinare, ad obblighi analoghi a quelli dei magistrati ordinari, e che, nonostante il carattere onorario del loro servizio, devono essere considerati «lavoratori» ai sensi delle disposizioni della direttiva 2003/88 e dell’accordo quadro. A sostegno di tale tesi si fa riferimento, in particolare, al vincolo di subordinazione che caratterizzerebbe il rapporto tra i giudici di pace e il Ministero della Giustizia, alla loro inclusione nell’organico complessivo della magistratura e all’assimilazione del reddito del giudice di pace a quello del lavoratore subordinato.

Con sentenza del 16 luglio 2020 (causa C-658/18, UX) la Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito, preliminarmente, che l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, deve essere interpretato nel senso che il giudice di pace italiano rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri», in quanto organismo di origine legale, a carattere permanente, deputato all’applicazione di norme giuridiche in condizioni di indipendenza; nel merito, la Corte ha affermato che, considerate le modalità di organizzazione del lavoro dei giudici di pace, essi «svolgono le loro funzioni nell’ambito di un rapporto giuridico di subordinazione sul piano amministrativo, che non incide sulla loro indipendenza nella funzione giudicante, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare».

Quindi, interpretando gli artt. 1, paragrafo 3, e 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, nonché le clausole 2 e 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, la Corte di Lussemburgo ha riportato la figura del giudice di pace alla nozione di «lavoratore a tempo determinato» e ha stabilito, con riferimento al tema specifico delle ferie annuali retribuite, che differenze di trattamento rispetto al magistrato professionale non possono essere giustificate dalla sola temporaneità dell’incarico, ma unicamente «dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità».

Nell’ambito di tale valutazione comparativa assume rilievo – osserva ancora la Corte di giustizia – la circostanza che per i soli magistrati ordinari la nomina debba avvenire per concorso, a norma dell’art. 106, primo comma, Cost., e che a questi l’ordinamento riservi le controversie di maggiore complessità o da trattare negli organi di grado superiore.

Il 15 luglio 2021 – esattamente un anno dopo - la Commissione europea ha invitato l'Italia a modificare la legislazione relativa alle condizioni di lavoro dei magistrati onorari, decidendo di avviare una procedura di infrazione, in quanto la legislazione nazionale applicabile ai magistrati onorari non è pienamente conforme al diritto del lavoro dell'UE.

La Commissione ritiene che la legislazione italiana non rispetti diverse disposizioni dell'accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato; dell'accordo quadro allegato alla direttiva 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale; della direttiva 2003/88/CE sull'orario di lavoro e della direttiva 92/85/CEE sulle lavoratrici gestanti. Diverse categorie di magistrati onorari, quali i giudici onorari di pace, i vice procuratori onorari (VPO) e i giudici onorari di tribunale (GOT), non godono dello status di "lavoratore" in base al diritto nazionale italiano, ma sono considerati volontari che prestano servizi a titolo "onorario". Non avendo lo status di lavoratore, essi non godono della protezione offerta dal diritto del lavoro dell'UE e risultano penalizzati dal mancato accesso all'indennità in caso di malattia, infortunio e gravidanza, dall'obbligo di iscriversi presso il fondo nazionale di previdenza sociale per i lavoratori autonomi, nonché da divari retributivi e relativi alle modalità di retribuzione, dalla discriminazione fiscale e dal mancato accesso al rimborso delle spese legali sostenute durante procedimenti disciplinari e al congedo di maternità retribuito. Tali categorie non sono inoltre sufficientemente protette contro gli abusi derivanti da una successione di contratti a tempo determinato e non hanno la possibilità di ottenere un adeguato risarcimento per tali abusi.

Infine, secondo la Commissione, l'Italia non ha istituito un sistema di misurazione dell'orario di lavoro giornaliero di ciascun magistrato onorario, né la riforma adottata nel 2017 ha fornito soluzioni al riguardo.

D’altra parte, la procedura d’infrazione si pone nel solco della decisione della Corte di Giustizia dell’anno prima, e in relazione alla statuizione secondo cui i giudici di pace (e dunque tutti i magistrati onorari) dovrebbero avere, ai sensi del diritto dell’Unione, lo status di lavoratori.

Nelle more, si sono pronunciati sulla questione, o comunque su aspetti aventi punti di contatto con essa, la Corte costituzionale e alcuni Tribunali di merito nazionali.

Occorre preliminarmente osservare che netta, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, resta la distinzione tra magistratura professionale e magistratura onoraria.

Anche recentemente (sentenza n. 267 del 2020), con riferimento al giudice di pace, la Corte ha affermato: «La differente modalità di nomina, radicata nella previsione dell’art. 106, secondo comma, Cost., il carattere non esclusivo dell’attività giurisdizionale svolta e il livello di complessità degli affari trattati rendono conto dell’eterogeneità dello status del giudice di pace, dando fondamento alla qualifica “onoraria” del suo rapporto di servizio, affermata dal legislatore fin dall’istituzione della figura e ribadita in occasione della riforma del 2017». In precedenza, la Corte (ordinanza n. 174 del 2012) aveva sottolineato l’impossibilità di assimilare le posizioni dei giudici onorari e dei magistrati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giudiziarie, e l’impossibilità di comparare tali posizioni ai fini della valutazione del rispetto del principio di uguaglianza, a causa dello svolgimento a diverso titolo delle funzioni giurisdizionali, connotate dall’esclusività solo nel caso dei magistrati ordinari di ruolo che svolgono professionalmente le loro funzioni (così anche la sentenza n. 60 del 2006, e le ordinanze n. 479 del 2000 e n. 272 del 1999).

Tuttavia, alcuni Giudici di merito (come ad esempio il Tribunale di Vicenza, nella pronuncia commentata su questo sito) hanno accertato positivamente il diritto dei Giudici onorari, incardinati da lungo tempo nel “sistema giustizia”, di percepire un trattamento economico corrispondente a quello previsto dall’art. 2 della L. n. 111 del 2007 per il ruolo di “magistrato ordinario” con funzioni giurisdizionali (vale a dire del magistrato nel periodo tra la fine del tirocinio e il riconoscimento della prima qualifica di professionalità), per tutto il periodo in cui hanno svolto le funzioni di Giudice onorario stesso, con condanna del Ministero della Giustizia a corrispondere loro la differenza tra tale trattamento economico e le somme effettivamente percepite.

E ciò, in conseguenza di due passaggi logici.

Il primo, l’oggettiva ricomprensione di un Giudice onorario che lavori per un periodo di tempo prolungato in un Tribunale ordinario, nella nozione comunitaria di lavoratore; il secondo, la comparabilità di alcune funzioni svolte dai Giudici onorari – come ritenuto nel caso del Tribunale di Vicenza, in cui è stato esaminato il ruolo di un GOT – con quelle svolte dai magistrati togati, con giustificazione della diversità di retribuzione soltanto in relazione alla progressione in carriera successiva al primo incarico, dato che l’aumento del trattamento economico del magistrato “togato” è imperniato su un meccanismo di valutazione di professionalità, disciplinato in modo articolato, sulla base di parametri specifici, integrati e arricchiti dalla normazione secondaria del CSM, a cui la magistratura onoraria non è sottoposta.

In altri termini, secondo la ricostruzione di questa tipologia di pronunce, l’assenza dell’elemento di diversità - tra magistrati onorari e magistrati professionali - rappresentato dalla circostanza che normalmente le controversie riservate ai primi non hanno gli aspetti di complessità che caratterizzano le controversie devolute ai magistrati ordinari, neutralizzerebbe, ai fini delle garanzie economiche e di status, l’ulteriore diversità – ritenuta dalla Corte costituzionale decisiva – del diverso iter di assunzione (a seconda che sia necessario o meno il superamento di un concorso pubblico specialistico per l’accesso all’esercizio delle funzioni giudiziarie).

D’altra parte, la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 41 del 2021), nell’esaminare incidentalmente gli effetti della riforma del settore operata dal d.lgs. n. 116 del 2017, ha da un lato posticipato gli effetti della sua pronuncia di incostituzionalità dell’istituzione della figura del giudice (onorario) ausiliario d’appello al completamento del riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi contemplati dal citato art. 32 del citato d.lgs. n. 116 del 2017, e dall’altro ribadito che “la regola generale del pubblico concorso è stata individuata come quella più idonea a concorrere ad assicurare la separazione del potere giurisdizionale dagli altri poteri dello Stato e la sua stessa indipendenza, a presidio dell’ordinamento giurisdizionale, posto dalla Costituzione, nel Titolo IV della sua Parte II, quale elemento fondante dell’ordinamento della Repubblica” e che “il sistema generale di reclutamento mediante pubblico concorso è strumentale all’indipendenza della magistratura”, in quanto “la sua prescrizione, contenuta nell’art. 106, primo comma, Cost., costituisce essenzialmente una norma di garanzia di idoneità a esercitare le funzioni giurisdizionali, nondimeno la stessa concorre a rafforzare e a integrare l’indipendenza della magistratura (sentenza n. 1 del 1967), non diversamente dalla garanzia dell’inamovibilità (art. 107, primo comma, Cost.)”.

Siamo alle solite, in ogni caso.

Vi è stata una riforma (quella del 2017) che non ha risolto i problemi di fondo dello status del magistrato onorario – puntualmente riesplosi a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea e della conseguente procedura di infrazione intentata dalla Commissione – e resta uno sbarramento costituzionale alla piena parificazione tra Giudici onorari e Giudici togati o professionali che dir si voglia.

La riforma del 2017 ha ridotto a due, per il primo grado di giudizio, le figure dei magistrati onorari (giudici onorari di pace e, per le funzioni requirenti, vice procuratori onorari), stabilendo che gli stessi debbano essere reclutati dai locali consigli giudiziari in base a una selezione per titoli e che la relativa graduatoria deve essere sottoposta per l’approvazione al CSM, la cui delibera viene poi seguita dalla nomina con decreto del Ministro della giustizia.

L’incarico ha una durata di quattro anni, prorogabile per una sola volta, e non è esclusivo, nel senso che è compatibile con l’esercizio di altre attività professionali, al punto che al magistrato onorario non può essere richiesto un impegno superiore a due giorni settimanali.

I nuovi «giudici onorari di pace» sono collocati presso l’ufficio del giudice di pace e destinati al contempo a confluire, in tribunale, quali componenti dell’ufficio per il processo in affiancamento al giudice professionale, con possibile attribuzione di funzioni giudiziarie delegate sotto le direttive e il controllo dello stesso giudice professionale.

Al giudice onorario vengono attribuiti compiti preparatori e strumentali (studio, ricerca di dottrina, predisposizioni di schemi di provvedimenti, assistenza anche in camera di consiglio) all’esercizio della funzione giurisdizionale, che rimane riservato al magistrato professionale. Allo stesso possono essere delegati, dal magistrato professionale e con riferimento a ciascun procedimento civile, poteri giurisdizionali istruttori e decisori concernenti singoli atti (adozione di provvedimenti «che risolvono questioni semplici e ripetitive», provvedimenti anticipatori di condanna in seguito a non contestazione del credito, assunzione di testimoni, attività conciliativa delle parti, liquidazione dei compensi agli ausiliari) inerenti anche procedimenti riservati al tribunale in composizione collegiale «purché non di particolare complessità» (art. 10, comma 11), in alcuni casi (delimitati quanto alle materie «non sensibili» ed al ridotto valore della causa) può allo stesso essere delegata anche la «pronuncia di provvedimenti definitori» (art. 10, comma 12).

Al contempo, è stata ridefinita la competenza dei giudici di pace sia nel settore civile che in quello penale.

Ma tutto questo “riformare” è stato parzialmente vanificato dal fatto che non è stata adeguatamente affrontata la situazione dei magistrati onorari già in servizio alla data di entrata in vigore della riforma e che la riforma è stata come al solito concepita a “costo zero”.

L’art. 35 del d.lgs. n. 116 del 2017 stabilisce infatti che “Per l'attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo si provvede nel limite delle risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

E adesso la Ministra Cartabia è costretta a tergiversare, perché non vi sono e non vi saranno risorse economiche disponibili, senza la previsione di nuovi oneri da inserire a carico della finanza pubblica nella prossima legge di bilancio, per assicurare le tutele dovute ai magistrati onorari in qualità di lavoratori, come richiesto dalla Unione europea.

Nulla di nuovo sotto il cielo della politica nostrana, si direbbe.

La navigazione a vista e senza la programmazione dei dovuti investimenti strutturali non può che produrre situazioni come quella a cui assistiamo, dove un precariato senza garanzie investe anche le più alte funzioni pubbliche.

I magistrati ordinari costano/valgono troppo e i magistrati onorari troppo poco, le distinzioni si offuscano e le rivendicazioni giuste si sovrappongono alla falsificazione di alcuni presupposti di partenza.

In tutta questa baraonda si rischia di perdere la bussola della navigazione, tra problemi più o meno reali, falsi vincitori e presunti sconfitti, in una guerra di categoria che sembra sempre più una guerra tra nuovi poveri. 

E’ bene allora chiudere con una citazione che deve restare, a sommesso avviso di chi scrive, il punto fermo per ogni futuro intervento normativo. Riguarda uno strumento che, unico, in un Paese come il nostro, e pure con tutti i limiti derivanti da una corruzione, da un clientelismo e da un familismo pervasivi, distingue in modo asettico e tecnico il merito dal non merito: il concorso pubblico.

Il concorso pubblico garantisce, da un lato, la possibilità di accesso alla magistratura ordinaria a tutti i cittadini, in aderenza al disposto dell’art. 3 Cost., evitando ogni discriminazione, anche di genere (…) e, da un altro, assicura la qualificazione tecnico-professionale dei magistrati, ritenuta condizione necessaria per l’esercizio delle funzioni giudiziarie. Mira infatti a verificare un iniziale standard uniforme di sapere giuridico, destinato ad affinarsi nel tempo, quale garanzia minima, ma essenziale, dell’esercizio della giurisdizione in modo neutrale. (…) La funzione della interpretazione ed applicazione della legge richiede il possesso della tecnica giuridica da parte dei giudici togati”. (1)



(1) Corte costituzionale, sentenza n. 41 del 17 marzo 2021

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