Disciplina di beni e servizi pubblici e soddisfacimento degli interessi dei cittadini
Beni pubblici e servizi pubblici sono temi classici del diritto amministrativo.
In queste brevi considerazioni, tuttavia, essi vengono in rilievo non già nella loro dimensione statica, e quindi in un’ottica sistematica; quanto piuttosto nella dinamicità della loro gestione, essenziale per garantire che l’azione amministrativa sia effettiva [1].
E in effetti, l’approccio del giurista allo studio dei beni e dei servizi pubblici è soggetto ad evoluzione, sia in ragione delle modifiche alla normativa applicabile, sia in correlazione all’affermarsi di nuove prospettive di esame nella dottrina economica [2], sia, ancora, per l’emergere di nuovi interessi e valori nella società.
I servizi pubblici sono paradigmatici di questa storia di evoluzione.
Sul piano dell’azione amministrativa, l’assunzione diretta di quelli locali [3] da parte dei Comuni e delle Provincie, disposta dalla l. 29 marzo 1903, n. 103, che accordava prevalenza alla loro gestione in economia o alla creazione di aziende municipalizzate, ha lasciato il passo all’adozione di moduli privatistici, attraverso la creazione di strumenti societari o il ricorso a forme di partnerariato tra soggetti pubblici e privati.
Inoltre, accanto alle società miste, si è via via sempre di più il modello, invero contemplato sin dalle origini, dell’esternalizzazione dei servizi attraverso l’istituto della concessione.
Ciò è avvenuto in coerenza con i princìpi di apertura al mercato che animano il diritto europeo in ragione di un approccio liberista che ne costituisce il presupposto economico/ideologico, tanto da ritenere eccezionale il ricorso all’in house providing.
Per farvi ricorso è necessaria «una qualificata motivazione che dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un'efficiente gestione del servizio, illustrando (…) i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta con riguardo agli investimenti, alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, all'impatto sulla finanza pubblica, nonché agli obiettivi di universalità, socialità, tutela dell'ambiente e accessibilità dei servizi (…)» (art. 17 d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201, in materia di servizi pubblici locali, cui si armonizza l’art. 7, comma 2 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36).
La presa d’atto dei fallimenti del mercato, che ben possono esservi, ha posto più di recente l’accento sull’aspetto della regolazione dei servizi. Paradigmatica, in questo senso, è l’attribuzione ad ARERA di poteri regolatori in materia di ciclo dei rifiuti da parte dell’art. 1, commi 527 ss. l. 27 dicembre 2017, n. 205.
L’evoluzione nella concezione dei
beni pubblici è meno evidente.
Innanzitutto, perché non si può tuttora prescindere dalle categorie fissate dal legislatore codicistico. Dunque, benché già il Giannini [4] nei primi anni ’60 del secolo scorso abbia teorizzato una diversa catalogazione dei beni pubblici (beni comuni, domìni collettivi, demani comunali), l’operatore giuridico continua a doversi confrontare con la tripartizione tra beni demaniali, beni del patrimonio indisponibile e del patrimonio disponibile.
A tale inquadramento consegue lo statuto dei beni demaniali, cui vengono attribuite le caratteristiche, invero comuni ai beni del patrimonio indisponibile, dell’inalienabilità, della non espropriabilità, nonché della sottoposizione a un regime di protezione che contempla la possibilità di esercizio dell’autotutela esecutiva.
Sono comunque da mettere in evidenza due aspetti.
Da un lato, vi è la tendenza, che affonda le proprie radici nel quadro costituzionale, in cui è addirittura l’istituto della proprietà – un tempo sacro e inviolabile – a essere informato alla sua funzione sociale (art. 42 Cost.), a considerare maggiormente corretta una concezione oggettiva del bene pubblico, che è tale in quanto preordinato al soddisfacimento di interessi della comunità [5].
A ciò si riconnette il secondo aspetto, in realtà meritevole di maggiore approfondimento rispetto a quello che ha avuto, che è quello delle possibilità di accesso ai beni, sia nella prospettiva di un uso generale di questi, sia con riferimento alla possibilità di garantirne un uso particolare.
La tendenza a concepire in senso oggettivo i beni pubblici si coglie in numerose manifestazioni.
La più rilevante è l’affermazione della categoria dei beni comuni [6], che ha il suo archetipo nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione sulle valli da pesca della laguna di Venezia [7].
In quell’occasione, la Corte si è trovata a pronunciare sulla natura demaniale o meno delle valli da pesca, e cioè delle aree lagunari delimitate da argini, che le separano dalla laguna aperta, che vengono usate per la vallicoltura, una forma di itticoltura estensiva.
I contendenti privati, che potevano vantare la disponibilità di tale aree da generazioni, non contestavano che esse rientrassero nella categoria descrittiva dei beni del demanio marittimo, ma evidenziavano che il carattere della demanialità non poteva essere ritenuto sussistente in ragione del disinteresse dello Stato che, dopo l’unificazione e nonostante l’entrata in vigore prima del codice civile del 1865, quindi del codice civile del 1942, giammai aveva adottato un atto accertativo della demanialità.
L’occasione è stata colta dalla Corte Suprema per un’innovativa ricostruzione del sistema, che valorizza l’applicazione diretta degli artt. 2, 9 e 42 Cost., ricavandone il principio della tutela della personalità umana e del suo corretto svolgimento, nell'ambito dello Stato sociale, anche nell'ambito del "paesaggio".
Quest’ultimo va visto con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della "proprietà" dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell'intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività.
Da tale quadro normativo-costituzionale, e fermo restando il dato "essenziale" della centralità della persona, da rendere effettiva, oltre che con il riconoscimento di diritti inviolabili, anche mediante «adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», emerge l'esigenza interpretativa di "guardare" al tema dei beni pubblici oltre una visione prettamente patrimoniale-proprietaria per approdare ad una prospettiva personale-collettivistica.
Ciò comporta che, in relazione al tema in esame, più che allo Stato-apparato, quale persona giuridica pubblica individualmente intesa, debba farsi riferimento allo Stato-collettività, quale ente esponenziale e rappresentativo degli interessi della cittadinanza (collettività) e quale ente preposto alla effettiva realizzazione di questi ultimi; in tal modo disquisire in termine di sola dicotomia beni pubblici (o demaniali)-privati significa, in modo parziale, limitarsi alla mera individuazione della titolarità dei beni, tralasciando l'ineludibile dato della classificazione degli stessi in virtù della relativa funzione e dei relativi interessi a tali beni collegati.
Ne deriva quindi che, là dove un bene immobile, indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale come sopra delineato, detto bene è da ritenersi, al di fuori dell'ormai datata prospettiva del dominium romanistico e della proprietà codicistica, "comune" vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini.
Del resto, la Corte di Cassazione ha rilevato come già da tempo, la dottrina ma anche la stessa giurisprudenza hanno fatta proprio l'idea di una necessaria funzionalità dei beni pubblici, con la conseguente convinzione che il bene è pubblico non tanto per la circostanza di rientrare in una delle astratte categorie del codice quanto piuttosto per essere tonte di un beneficio per la collettività, sino ad ipotizzare casi di gestione patrimoniale dei beni pubblici (come la loro alienazione e cartolarizzazione).
Non è un caso, in quest’ottica, se anche il novero dei beni pubblici si amplia.
Vi si debbono far rientrare, innanzitutto, le reti infrastrutturali [8], che vanno intese non come semplice complesso di beni mobili o immobili, ma come l'insieme di infrastrutture fisiche e immateriali che supportano l'erogazione di servizi.
Quindi, tra i beni pubblici si ricomprendono la rete di dispacciamento dell’energia elettrica (individuata con decreto ministeriale ai sensi dell’art. 3, comma 7 d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79), la rete di distribuzione del gas (definita dall’art. 9 d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164), l’infrastruttura ferroviaria (d.lgs. 15 luglio 2015, n. 112, allegato I).
Ma tra i beni pubblici occorre inserire anche i beni culturali, ancorché appartenenti ai privati, giacché, una volta che ne sia stato dichiarato l’interesse culturale ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, essi sono sottoposti a un regime stringente di protezione (l’art. 20 del Codice pone il divieto di distruzione, deterioramento, danneggiamento) e di conservazione (art. 30, comma 3 ss. del Codice), con sottoposizione dell’alienazione a un regime di autorizzazione o di denuncia (art. 56 del Codice).
Proprio alla ricostruzione in termini di oggettività del concetto di beni pubblici risponde anche la possibilità, appunto, che vi sia la dicotomia tra natura pubblica del bene e attribuzione a privati di diritti dominicali.
D’altra parte, già con l’art. 43, comma 2 l. 23 dicembre 1998, n. 448, erano stati attribuiti in proprietà a un soggetto formalmente privato, Ferrovie dello Stato S.p.a., i beni immobili necessari all’esercizio del servizio ferroviario.
Non diversa è la logica per cui la gestione del demanio sia attribuita a soggetti diversi da quelli titolari dei beni. È quanto è accaduto al demanio marittimo, allorché, con l’art. 59 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, la sua gestione, ma non la titolarità dei beni che lo compongono, è stata attribuita alle Regioni.
La divaricazione è stata superata con gli artt. 3 e 5 d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, che ha trasferito anche la titolarità del demanio marittimo alle Regioni, che però a loro volta (si vedano, ad esempio, l’art. 4 l.r. Veneto 4 novembre 2002, n. 33; l’art. 4 l.r. Calabria 21 dicembre 2005, n. 117; l’art. 6 l.r. Puglia 23 giugno 2006, n. 17) hanno delegato a livelli più basi della piramide amministrativa alcune funzioni di gestione del demanio marittimo.
Rimane da fare un cenno, pur breve, al tema dell’accesso ai beni pubblici, o forse sarebbe meglio dire della loro fruizione da parte della collettività [9].
In tal proposito, va ricordato il movimento che portò al referendum abrogativi del 12 e 13 giugno 2011, ove due quesiti abrogativi riguardavano l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economia e, soprattutto, la previsione della necessaria adeguata remunerazione del capitale privato investito nei servizi idrici integrati.
Ritorna utile, inoltre, riferirsi a quell’ampia fetta di contenzioso amministrativo relativo alla possibilità di proroga generalizzate delle concessioni per finalità turistico-ricreative di porzioni del demanio marittimo, fluviale, lacustre.
I temi che si agitano sono molti e ben noti: vanno dal potere di disapplicazione della normativa nazionale contrastante con il diritto europeo da parte delle amministrazioni pubbliche all’individuazione dell’ambito rilevante per la determinazione della natura, scarsa o meno, della “risorsa” di cui si tratta; dai criteri di affidamento delle concessioni al preteso diritto di indennizzo degli operatori per gli investimenti posti in essere.
Scarsa riflessione, invece, vi è stata sull’incidenza delle proroghe automatiche nel tempo predisposte dal legislatore sull’accesso, sulla possibilità di fruizione, da parte della collettività, del bene demaniale marittimo.
In realtà, la tutela dell’interesse degli operatori economici, diversi da quelli già concessionari, di ottenere un godimento particolare di una porzione del bene è adeguatamente tutelato dall’affermazione dell’assorbente principio di concorrenza. L’adozione di procedure competitive garantisce pari prospettive di accesso a un godimento riservato del bene pubblico da parte di tutti gli operatori economici interessati.
La prospettiva della fruizione generalizzata del bene pubblico è, invece, sottovalutata.
Infatti, le concessioni del demanio marittimo, fluviale o lacustre per finalità turistico-ricreative comportano necessariamente la privazione della generalità dei consociati dal godimento di quei beni assegnati in uso esclusivo, sacrificio a fronte del quale la mano pubblica ottiene il pagamento di un canone e altri benefici indiretti (traslazione sul concessionario degli oneri di custodia e manutenzione).
Ebbene, una durata temporale via via crescente delle concessioni demaniali priva le amministrazioni della possibilità di rinnovare, di volta in volta, la valutazione sull’opportunità di sottrarre il bene demaniale alla fruizione collettiva; ovvero di adeguare le condizioni di esercizio imposte al concessionario alla misura del corrispettivo sacrificio imposto alla collettività; ovvero ancora di esplorare nuove tipologie di concessione del bene, che pongano in un punto diverso l’equilibrio tra l’interesse della collettività a fruire del bene pubblico e l’interesse degli operatori economici di ottenere, per finalità di lucro, lo sfruttamento esclusivo di quel bene.
Si tratta di ricadute negative di non poco momento, su cui varrebbe la pena che il pensiero giuridico si soffermasse maggiormente, allorché si tratta di trovare un assetto ragionevole alla disciplina delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative.
[1] L’attualità del tema dell’effettività dell’azione amministrativa emerge anche dal fatto che il Conseil d’État francese abbia dedicato lo studio annuale 2023 al tema L’usager du premier au dernier kilomètre de l’action publique: un enjeu d’efficacité et une exigence démocratique.
[2] Si veda, a titolo di esempio, il recente studio dell’Eurispes su Immobili pubblici: Patrimonio da valorizzare (2025).
[3] Per una ricostruzione più ampia dal punto di vista storico, si rinvia a M. Dugato, I Servizi pubblici locali (voce) in Enciclopedia del diritto – I Tematici III, Milano, 2022, pp. 1093-1100.
[4] M.S. Giannini, I beni pubblici – Dispense delle lezioni del Corso di Diritto amministrativo tenute nell’anno accademico 1962-63, Roma, 1963.
[5] Nell’ampia produzione, sia consentito di segnalare i due capisaldi, in chiave privatistica e in chiave pubblicistica, di un’alternativa lettura dei beni pubblici: P.Grossi, “Un altro modo di possedere”. L’emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Milano 1977; V. Cerulli Irelli, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Padova, 1983.
[6] Si veda F.Marinelli, Beni comuni (voce), in Enciclopedia del Diritto – Annali VII, Milano 2014, 157 ss.
[7] Cass. Civ., Sez. Un., 14 febbraio 2011, n. 3655
[8] Si veda già F.Cintioli, Le reti come beni pubblici e la gestione dei servizi, in Dir amm., 2007, 293 ss.
[9] Si veda S.Rodotà, Beni comuni. Una strategia globale contro lo human divide. Postfazione a M.R.Marella, Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Bologna, 2012