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Diritto tributario, responsabilità e incertezza normativa

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • feb 23, 2022

Cassazione Civile, Sez. V, 14 febbraio 2022, n. 4599


Nel volgere di pochi anni il Legislatore è intervenuto ben tre volte per sancire che nel diritto tributario l’incertezza normativa comporta l’esenzione dalla responsabilità amministrativa. Più precisamente, oggi sono vigenti queste disposizioni, solo parzialmente differenti ma accomunate nella disciplina (con definizione testualmente identica) delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria:

- art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992: la commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce;

- art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997: non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento;

- art. 10, comma 3, della l. n. 212 del 2000: le sanzioni non sono irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria.

La sentenza segnalata ha ricapitolato (citando numerosi precedenti) e ribadito una posizione giurisprudenziale oramai assodata: 

• quanto al profilo soggettivo: l’incertezza normativa è ravvisabile quando sussiste “una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già a un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione”;

• quanto al profilo oggettivo: l’incertezza normativa è caratterizzata dalla “impossibilità di individuare con sicurezza e univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni ‘indici’, quali, ad esempio: 

o 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 

o 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 

o 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 

o 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 

o 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 

o 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 

o 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 

o 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 

o 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 

o 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente.

Ciò comporta che in sede processuale la possibilità di disapplicazione delle sanzioni prescinde dalla qualità del contribuente, nonostante possa essere professionalmente un addetto ai lavori e quindi capace di interpretazione qualificata delle norme, perché richiede che sia il giudice ad accertare la situazione di obiettiva incertezza.

Per cui, in definitiva, questo è il principio di diritto formulato: “l’incertezza normativa oggettiva tributaria deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie; l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto, come emerge dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 il quale distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice e non può essere operato dall’Amministrazione”.


La vicenda esaminata riguardava la disciplina applicabile per la determinazione delle caratteristiche delle abitazioni di lusso

La Corte ha ricordato che l’art. 10 del d.m. 2 agosto 1969 (“Caratteristiche delle abitazioni di lusso”) prevede che “alle abitazioni costruite in base a licenza di costruzione rilasciata in data anteriore a quella della entrata in vigore” dello stesso d.m. del 1969 (il 1° settembre 1969) si applicano le disposizioni di cui al decreto ministeriale 4 dicembre 1961 (il testo previgente sulle caratteristiche per considerare di lusso un’abitazione).

Ebbene, tale art. 10 fu inizialmente interpretato (prime pronunce nell’anno 2006) nel senso di attribuirgli “una mera funzione di regolamentazione transitoria dell’unica fattispecie in esso prevista”, ossia le sole abitazioni o in corso di costruzione al momento dell’entrata in vigore della disposizione o costruite successivamente a tal momento ma sulla base di licenza di costruzione rilasciata in data anteriore. Ne derivava che soltanto tali costruzioni erano destinatarie dei benefici fiscali previsti dalle leggi a quel momento vigenti.

Nondimeno, con l’art. 2, commi 1 e 2, del d.l. n. 12 del 1985 furono introdotte norme fiscali sull’edilizia destinate ad abitazioni non di lusso secondo i criteri di cui al d.m. 2 agosto 1969 “indipendentemente dalla data della loro costruzione”. Con tale inciso le abitazioni di lusso furono individuate solo in quelle indicate nel d.m. del 1969 e, in tal modo, si operò una reductio ad unum del complessivo panorama edilizio, evitando discriminazioni fondate non già su caratteristiche obiettive omogenee ma su di una nozione storica del concetto di abitazione non di lusso a seconda dell’epoca della costruzione e addirittura normativamente inesistente per quelle più risalenti.

Conseguentemente, la giurisprudenza di legittimità ha interpretato l’art. 10 superando il dato letterale ma applicando principi di ragionevolezza e di equità contributiva: per cui ai fini della qualificazione di abitazione di lusso di un immobile è stata attribuita rilevanza al momento del suo acquisto e non a quello della sua costruzione.

Questa vicenda rappresenta un caso emblematico di “incertezza normativa oggettiva tributaria caratterizzata dall’impossibilità d’individuare in modo univoco, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la corretta portata della norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile”. Difatti, le prime pronunce sull’interpretazione dell’art. 10 erano fondate su di un criterio teleologico, mentre quelle successive richiamano i principi costituzionali di equità contributiva e di ragionevolezza.

Per cui “le modalità di confezionamento della norma, l’assenza di precedenti giurisprudenziali (il provvedimento impugnato era datato 2008) e l’articolata interpretazione offerta dalla Corte per superare il dato letterale”, sono elementi che hanno consentito di ravvisare la causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità tributaria.


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