Blog Layout

Denaro per "oliare" il sistema e complicità nel traffico di influenze illecite

dic 20, 2021

Sentenza del Tribunale di Brindisi del 15/07/2019/ Corte di appello di Lecce, 03/05/2021, (ud. 15/02/2021, dep. 03/05/2021), n. 271 


IL CASO E LA DECISIONE

Un noto sindacalista otteneva da vari soggetti somme di denaro al fine di remunerare (fantomatici) pubblici ufficiali o incaricati di pubblici servizi, che potevano garantirne l’assunzione ovvero quella di loro congiunti presso enti anche di rilievo internazionale.

In concreto, l’agente indicava la necessità di tali esborsi “per oliare il sistema o per piazzare le bandierine per arrivare prima”.

Secondo il Giudice penale di primo grado, con valutazione condivisa dalla Corte di Appello, il quadro probatorio a carico del sindacalista era schiacciante, con conseguente dichiarazione di penale responsabilità per avere ricevuto, con più azioni compiute in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, denaro con il pretesto di dover comprare il favore di pubblici ufficiali e impiegati addetti a pubblici servizi al fine di consentire alle persone offese di essere assunte presso vari enti, tra cui gli uffici di Brindisi dell'ONU, una società aeronautica di Grottaglie e perfino un non meglio precisato ente per il tutoraggio dei fondi comunitari 2014-2020.

In particolare, il reato contestato – inizialmente rubricato come di millantato credito, in relazione all’epoca di commissione dei fatti – è stato ritenuto correttamente riqualificato in termini di traffico di influenze illecite, ex art. 346 bis c.p., dovendosi ritenere ricompresa la condotta di ricezione di denaro con il pretesto di dover comprare il favore di pubblici ufficiali e impiegati addetti a pubblici servizi – che in precedenza caratterizzava l’abrogato reato di millantato credito – in una delle condotte previste dal nuovo reato di cui all'art. 346-bis c.p., e in particolare nella condotta di indebita ricezione di denaro come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, vantando relazioni “asserite” con costoro.

Invero, sia il Giudice di primo grado che la Corte di Appello hanno ritenuto di aderire all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione (vedi da ultimo Cass. Sez. 6, n. 1869 de/07/10/2020-18/01/2021) secondo cui sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito, formalmente abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. s), della legge 9 gennaio 2019, n. 3, e quello di traffico di influenze di cui al novellato art. 346-bis cod. pen., con la conseguenza che è stata considerata irrilevante la mancata riproposizione della dizione contenuta all'art. 346, comma secondo, cod. pen., lì dove si richiedeva che l'agente avesse ottenuto il vantaggio con il "pretesto" di dover remunerare il pubblico funzionario, atteso che, a seguito della novella, il delitto di cui all'art. 346-bis cod. pen. prescinde dalla reale esistenza delle relazioni vantate.

TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE E MILLANTATO CREDITO

Il  delitto di traffico di influenze illecite è un reato contro la pubblica amministrazione che sussiste quando la stessa fattispecie concreta non costituisce concorso nei reati di corruzione e corruzione in atti giudiziari (in qual caso la clausola di riserva contenuta nell’incipit della norma di cui all’art. 346-bis c.p. ne esclude l’applicabilità) e che consiste in una condotta costituita da due segmenti di azione diversi e conseguenti tra di loro.

La prima parte di tale condotta è costituita dallo sfruttamento o dal vanto di relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio.

Tale sfruttamento o vanto, peraltro (seconda parte della condotta), devono essere strumentali ad una indebita promessa o dazione, a sé o ad altri, di denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita o ai fini della remunerazione verso e in favore del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che deve esercitare le sue funzioni o i suoi poteri nella vicenda di interesse del privato.

Si tratta di un reato di mera condotta, che può essere compiuto da chiunque, ma la cui pena è aggravata se il soggetto, che indebitamente si fa dare o promettere, per sé o per altri, denaro o altra utilità, riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.

Il bene giuridico protetto consiste in una particolare forma di tutela anticipata dell'interesse alla legalità, buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, che l’ordinamento appresta per evitare che l’accordo corruttivo vada in porto, punendo colui che si inserisce o comunque fa da tramite tra potenziale corrotto e potenziale corruttore mediante la propria influenza.

Con la modifica del 2019, operata dalla cosiddetta legge “spazzacorrotti”, è stata eliminata la differenziazione, nella condotta di chi si proponga di esercitare un’influenza illecita sul pubblico ufficiale, tra effettività o meno dei rapporti tra il faccendiere e il funzionario pubblico, e si è posto riparo - attraverso l’abrogazione del delitto di millantato credito di cui all’art. 346 c.p. - all’evidente irragionevolezza dell’ineguale trattamento sanzionatorio che l’introduzione del reato di traffico di influenze aveva determinato.

Tuttavia, il millantato credito non è fuoriuscito dal circuito dell’incriminazione ma è stato, almeno apparentemente, trasfuso nel riformulato articolo 346 bis c.p., il cui ambito precettivo è stato ampliato sino a includervi anche le condotte di millanteria di relazioni in realtà non effettive con il pubblico agente, le quali, invece, successivamente all’introduzione del reato di cui all’art. 346 bis c.p., rimanevano sanzionabili, nell’applicazione giurisprudenziale, ai sensi dell’art. 346 c.p..

Pur a fronte di una non perfetta riproduzione, nella riscrittura dell’art. 346 bis c.p., del precetto descrittivo della fattispecie di cui all’abrogato delitto di millantato credito, l’orientamento che, con riguardo ai profili intertemporali, si è consolidato nella giurisprudenza di legittimità afferma la continuità normativa tra le due incriminazioni, alla luce del comune nucleo di incriminazione che “apparenta” le due fattispecie, in linea del resto con l’intentio legis.

Sotto altro profilo, il legislatore ha previsto senza eccezioni l’incriminabilità del privato committente (cioè di colui che indebitamente dà o promette denaro o altra utilità per la mediazione illecita), il quale è chiamato a rispondere del reato, quand’anche il trafficante abbia “venduto fumo”, millantando relazioni non effettive, ma solo “asserite”.

Tale novità incriminatrice segna un elemento di forte discontinuità rispetto al millantato credito, che riconosceva alla controparte il ruolo di vittima dell’altrui prospettazione millantatoria, ed è tendenzialmente da leggere alla luce dell’oggettività giuridica della fattispecie, posta a presidio della credibilità e della trasparenza della pubblica amministrazione, vulnerabile dalla causa illecita dell’intesa, obiettivamente considerata, a prescindere dalla decettività della pattuizione.

Tuttavia, una parte della dottrina sostiene che l’area applicativa della fattispecie dovrebbe essere circoscritta alle sole relazioni in cui le parti contino di poter influire sul pubblico ufficiale, alla luce dei pregressi rapporti che il trafficante abbia intessuto con il pubblico agente ovvero in ragione della condivisa - ed effettivamente ritenuta - capacità di influenza del trader sul pubblico agente, rimanendo, di contro, entro il perimetro del delitto di truffa le condotte interamente decettive ordite nei confronti della controparte ignara dell’altrui inganno.

Tanto si riflette anche sul regime processuale connesso al ruolo del committente, che deve essere considerato persona offesa o reo, nel caso di inganno sic et sempliciter, a seconda dell’impostazione seguita.

Nel caso esaminato dal Tribunale di Brindisi – e confermato in appello - la circostanza che quelle che per l'abrogato reato di millantato credito erano parti offese siano diventate oggi a loro volta perseguibili ex art. 346 bis, comma 2 c.p. (unitamente ai percettori delle somme di denaro o di altre utilità), non ha comportato l'estensione dell'imputazione a loro carico, ostandovi il disposto di cui agii artt. 25, comma 2 della Costituzione e di cui all’art. 2, comma 1 del codice penale.

Invero, l'unificazione del reato di cui all'art. 346 cod. pen. nella nuova figura di traffico di influenze, cosi come novellato dall'ari. 1, comma 1, lett. s), legge 9 gennaio 2019, n. 3, non fa venir meno il diritto al risarcimento del danno in favore di chi, al momento del fatto, era da considerarsi persona offesa dal reato, sussistendo continuità normativa tra le norme incriminatrici in questione e non incidendo le vicende relative alla punibilità sulla qualificazione giuridica di un fatto quale illecito civile, in quanto trova applicazione, in questo caso, l'art. 11 disp. prel. cod. civ., secondo cui, agli effetti civili, la legge non dispone che per l'avvenire.

Per l’imputato è stata pertanto confermata la subordinazione del beneficio riconosciuto (pena sospesa) al pagamento delle somme riconosciute a titolo di provvisionale in favore delle parti civili, le quali, nonostante l’intervenuta modificazione normativa dello status del committente – da persona offesa a concorrente necessario nel reato -, non vedono, nel caso di specie, mutata la loro condizione soggettiva nel processo, con riguardo all’epoca di commissione dei fatti contestati.


Share by: