Diritto amministrativo


Autore: Federico Smerchinich 20 maggio 2025
TAR Liguria, Sez. I, 19.02.2025, n. 183 IL CASO E LA DECISIONE La vicenda trova collocazione nel Comune di Zoagli, una delle perle del Golfo del Tigullio, dove tra rocce frastagliate si possono trovare delle piccole spiagge circondate dalla natura ligure. Una zona molto ambita da turisti stranieri e italiani, nonché luogo di seconde case di villeggiatura. Ebbene, il giudizio riguarda la contestazione della delibera della Giunta Comunale con cui il Comune di Zoagli ha confermato la scadenza delle concessioni al 31.12.2023 avviando le procedure ad evidenza pubblica. Il ricorso è stato proposto da un’impresa titolare di concessione demaniale in detta zona, che sosteneva che, in sostanza, il Comune non avrebbe potuto avviare le gare pubbliche in assenza di una puntuale disciplina statale in materia e senza che la Corte di Giustizia si fosse pronunciata sulla tematica degli indennizzi da corrispondere ai concessionari uscenti. Il TAR Liguria ha ritenuto di non accogliere il ricorso sulla base di una serie di ragioni. Innanzitutto, il giudice ha ricostruito il quadro normativo della materia e giurisprudenziale della materia, affermando che, dopo le famose sentenze nn. 17 e 18/2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato , recepite dalla L. n. 118/2022, le procedure per l’affidamento delle concessioni demaniali marittime devono avvenire tramite selezioni imparziali e trasparenti tra i potenziali candidati. Da ciò, il TAR ne fa conseguire la disapplicazione dell’ art. 12, comma 6 sexies d.l. n. 198/2022 , convertito in legge n. 14/2023, che ha posticipato al 31.12.2024 la possibilità di proroga delle concessioni, per contrasto con la direttiva Bolkestein (art. 12 direttiva 1006/123/UE). Questa disapplicazione, secondo il TAR, deve essere estesa anche all’ art. 1 comma 1 lett. a) n.1.1 d.l. n. 131/2024, convertito in legge n. 166/2024 , che ha differito al 30.09.2027 il termine finale di durata dei titoli concessori. In tal senso, il TAR ha respinto la tesi dei ricorrenti secondo cui vi sarebbe un accordo tra lo Stato italiano e la Commissione europea in merito alla legittimità di tale proroga al settembre 2027, dato che non risulterebbe alcun documento attestante tale patto, e posto che, comunque, l’interpretazione autentica della Corte di Giustizia UE prevarrebbe su qualsiasi altro accordo in materia che vada in senso contrario a quanto stabilito dalla stessa Corte. Tornando alla disposizione dell’art. 1 comma 1 lett. a) n.1.1 d.l. n. 131/2024, la stessa prevede che la possibilità di prorogare al 30.09.2027 non pregiudica le gare già avviate prima dell’entrata in vigore di tale decreto (17.09.2024), e ha abolito il divieto di bandire procedure fino all’approvazione della disciplina statale. Proprio in virtù di tale regime temporale, il Comune di Zoagli aveva avviato la gara per l’affidamento della concessione demaniale, garantendo comunque ai concessionari uscenti un valido titolo per il periodo della procedura fino alla prossima stagione balneare. In secondo luogo, il TAR analizza la questione relativa alle modalità e ai criteri di selezione dei concessionari subentranti. Al riguardo, il TAR afferma che il Comune ha fatto corretta applicazione dei criteri di cui al paramento dell’ art. 37 Cod. Nav. e agli artt. 8 e 9 L.R. 26/2017 , non applicando, invece, le norme di tale legge regionale nella parte in cui è stata dichiarata incostituzionale. Infine, il TAR si sofferma sulla tematica degli indennizzi , rilevando, a una parte, che correttamente il Comune avesse previsto un meccanismo di indennizzo degli investimenti non ammortizzati, nel rispetto della l. n. 118/2022; evidenziando, dall’altra, che la modalità di indennizzo di cui al d.l. n. 131/2024 non è retroattiva e, quindi, non si applica alle gare precedentemente bandite. A completezza del discorso, il TAR ha rimarcato che la Corte di Giustizia, con decisione dell’11.07.2024 causa C-598/22 , ha sancito la compatibilità tra il diritto UE e l’ art. 49 Cod. Nav. nella parte in cui ritiene che alla scadenza della concessione, il concessionario è tenuto a cedere gratuitamente e senza indennizzo le opere amovibili erette sul sedime demaniale, e che, in ogni caso, è chi fa valere la pretesa a un maggiore indennizzo a dover dimostrare di aver realizzato nuove opere. Interessante è poi l'assunto secondo cui, avendo l’art. 1, comma 1, lett. b), del d.l. n. 131/2024 sostituito l’art. 4 della legge n. 118/2022 e disciplinato direttamente la procedura di affidamento delle concessioni turistico-ricreative, senza più rinviare a futuri decreti legislativi attuativi, sarebbe stato abrogato il divieto per gli enti concedenti di bandire le gare fino all’adozione di criteri uniformi a livello nazionale . Tale norma non aveva peraltro trovato applicazione, essendo spirato il termine di sei mesi da essa previsto per l'attuazione, posto che in ogni caso sarebbe stata da disapplicare, in quanto, in concreto, produttiva di un’ulteriore proroga dei precedenti rapporti concessori. D'altra parte, il Comune interessato, secondo il Tribunale, ha fatto buon uso dei poteri allo stesso conferiti dalla normativa vigente, posto che, una volta preso atto della scadenza dei titoli concessori al 31 dicembre 2023, aveva accompagnato alla decisione di esperire le selezioni per i nuovi affidamenti il rilascio ai concessionari di una licenza temporanea sino al 31 ottobre 2024 ; tale licenza era da considerarsi qualcosa di diverso dalle c.d. concessioni temporanee con riferimento a casi particolari , quali l’installazione di di ponteggi, circhi, manifestazioni e spettacoli viaggianti, derivando dall'utilizzo degli ordinari poteri dell’amministrazione comunale concedente, al proporzionato fine di garantire ai concessionari uscenti " un valido titolo per continuare a fruire del bene demaniale per l’intera stagione balneare successiva alla scadenza della concessione ". Quanto infine al "cuore" della selezione, il Giiudice adito ha ritenuto correttamente utilizzato il parametro della “proficua utilizzazione” del bene, così come sancito dall’ art. 37 cod. nav ., e declinato, nel concreto, nella valorizzazione della professionalità e dell’esperienza maturate nel settore, nella sostenibilità ambientale e nell’utilizzo del compendio marittimo anche nel periodo invernale, oltre che nell'ottica di promozione delle piccole e medie imprese. La sentenza del TAR Liguria è attualmente sub iudice presso il Consiglio di Stato, il quale, peraltro, con ordinanza n. 1463 del 16.04.2025, ha rigettato l’istanza cautelare rilevando l’assenza di periculum , perché gli appellanti hanno un titolo valido per la stagione in corso e dal momento che essi hanno proposto domanda di partecipazione alle gare bandite dallo stesso Ente.
Autore: a cura di Oscar Marongiu 3 maggio 2025
Tar Lombardia, sez. III, sentenza n. 745/2025, pubblicata il 5 marzo 2025 IL CASO E LA DECISIONE Un cittadino straniero, dopo essere entrato sul territorio nazionale in condizioni di clandestinità, essere stato allontanato da un centro di accoglienza e avere contratto matrimonio con una cittadina italiana (dalla quale peraltro si era successivamente separato, con strascichi penali a suo carico), prova ad accedere alla “sanatoria” di cui al d.l. n. 34 del 2020 . Il beneficio gli viene peraltro negato in relazione all’insussistenza delle condizioni stabilite dalla norma in questione. In particolare, l’amministrazione compulsata aveva rilevato che l’interessato era stato condannato nel giugno del 2022 a quattro mesi di reclusione per una condotta di atti persecutori nei confronti della coniuge separata, condotta da lui tenuta tra il 2018 e il 2019. La pena finale applicata dal Giudice era stata peraltro lieve, in quanto commisurata alla contenuta offensività dei fatti, all’incensuratezza dell’imputato e alla concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, ma in ogni caso la condanna, rientrando tra le fattispecie elencate alla lett. c) del comma 10 dell’art. 103 del d.l. n. 34 del 2020 , era da considerarsi automaticamente preclusiva dell’esito positivo dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare. Presentato ricorso avanti al Giudice amministrativo di primo grado, la difesa del cittadino straniero, consapevole dell’esistenza di una causa ostativa prevista direttamente dalla legge, rispetto alla quale l’amministrazione era vincolata e si è dunque mantenuta nei binari di un compito meramente esecutivo, ha chiesto di sollevare questione di costituzionalità per arrivare a una dichiarazione di illegittimità della norma dichiaratamente ostativa rispetto al beneficio richiesto. Il TAR Milano ha tuttavia respinto il ricorso, ritenendo manifestamente infondata la questione di costituzionalità dedotta dalla parte. In particolare, il Giudice meneghino, nell’evidenziare le differenze tra la fattispecie oggetto del suo esame e quella scrutinata dalla Corte costituzionale nel procedimento a seguito del quale è stata emessa la sentenza di accoglimento n. 43 del 2024 , ha affermato che le questioni non erano sovrapponibili per due diversi motivi. Innanzitutto, il reato ostativo preso in considerazione dalla Corte costituzionale era quello di detenzione illecita o spaccio di lieve entità ( art. 73, comma 5 del d.P.R. n. 309 del 1990 ), da considerarsi fattispecie autonoma rispetto al reato di detenzione e spaccio di stupefacenti di cui all’art. 73, comma 1 del d.P.R. n. 309 del 1990: da ciò consegue che il giudizio non è andato a sindacare la pena in concreto emessa in sede penale o la tipologia di condotta effettivamente tenuta all’interno di una fattispecie unitaria. In secondo luogo, il delitto di atti persecutori, a differenza di quello autonomo previsto e punito dal comma 5 dell’art. 73 del testo unico in materia di stupefacenti, comporta sempre l’ obbligatorietà dell’arresto in flagranza di reato . Conseguentemente, trattandosi di due differenti fattispecie penali – così come unitariamente considerate dalla lett. c) del comma 10 dell’art. 103 del d.l. n. 34 del 2020 – mentre è da considerarsi irragionevole la scelta del legislatore di escludere automaticamente la sanabilità della posizione di irregolarità nel Paese di un soggetto che è stato condannato per il reato di “spaccio lieve”, è al contrario da considerarsi razionale e proporzionata la scelta di far derivare conseguenze ostative automatiche alla condanna per il reato di stalking , anche perché tale delitto “ è di per sé suscettibile, se portato alle estreme conseguenze, di ledere irrimediabilmente beni costituzionalmente protetti al massimo livello... ”. Sotto altro aspetto, il TAR Milano ha respinto anche la censura di violazione dell’art. 19, comma 1.1., terzo e quarto periodo del d.lgs. n. 286 del 1998 , nella disciplina vigente ratione temporis , in quanto “ l’intrusione nella vita privata dell’interessato conseguente automaticamente alla fattispecie normativa in questione risulta giustificata sulla base delle circostanze di diritto e di fatto esistenti nel caso di specie ”. PROFILI DI CRITICITA’ DELLA NORMATIVA SUI REATI OSTATIVI IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE La normativa in materia di procedimenti inerenti all ’immigrazione contempla due particolari discipline sulle condotte penali (e non) “interferenti” in senso negativo con la possibilità di accedere ai benefici di legge previsti in vista del soggiorno legale sul territorio italiano. Viene in primo luogo in considerazione il combinato disposto di cui all’ art. 5, comma 5, e 4, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998 . Invero, “ il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato ”; tra i requisiti richiesti c’è anche il fatto di non essere considerati “una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone”, o comunque di non risultare “ condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, per i reati di cui all'articolo 582, nel caso di cui al secondo comma, secondo periodo, e agli articoli 583-bis e 583-quinquies del codice penale, ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite ”. Impedisce l'ingresso dello straniero in Italia anche la condanna con sentenza irrevocabile per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale, nonché dall'articolo 1 del decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 66, e dall'articolo 24 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Se per lo straniero in questione è stato richiesto il ricongiungimento familiare , poi, lo stesso non è ammesso in Italia “ quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone ”. Sotto altro fronte, ai sensi del comma 10 dell’art. 103 del d.l. n. 34, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 77 del 2020 , non sono ammessi alle procedure di emersione di rapporti di lavoro irregolari svolti con riferimento ad alcune specifiche attività – rispetto ai quali cioè lo straniero non aveva conseguito permesso di soggiorno per lavoro subordinato – coloro “ che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale o per i delitti contro la libertà personale ovvero per i reati inerenti agli stupefacenti, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite ”. Stessa preclusione per coloro che siano comunque considerati una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone. Le due discipline normative sopra citate sono state oggetto di incisivi interventi della Corte costituzionale, la quale ha dovuto affrontare, nella sostanza, il tema dell’ automatismo introdotto dal legislatore tra l'applicazione di determinate condanne penali e il diniego del titolo di soggiorno. Con una prima pronuncia di carattere generale, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, comma 5, del testo unico sull’immigrazione (d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286), nella parte in cui prevedeva che la valutazione discrezionale in esso stabilita (tenere conto, nella decisione finale sulla posizione del richiedente, anche della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio) si applicasse solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto», e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato » ( sentenza 3 - 18 luglio 2013, n. 202 ). Successivamente, la Corte costituzionale ha dichiarato, più nello specifico, l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo sopra citato, nella parte in cui ricomprendeva, tra le ipotesi di condanna automaticamente ostative al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle, pur non definitive, per il reato di cui all'art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 e quelle definitive per il reato di cui all'art. 474, secondo comma, del codice penale , senza prevedere che l'autorità competente verificasse in concreto la pericolosità sociale del richiedente ( sentenza 9 marzo - 8 maggio 2023, n. 88 ). Quanto poi al d.l. n. 34 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato, con la recente sentenza n. 43 del 2024 , l'illegittimità costituzionale dell'art. 103, comma 10, lettera c) di tale decreto nella parte in cui, nel prevedere i «reati inerenti agli stupefacenti» come ostativi al buon esito della procedura di regolarizzazione, non escludeva il reato di cui all'art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 ( fatto di lieve entità di cessione o detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope ). In sostanza, con le due ultime pronunce, il Giudice delle leggi ha denunciato l’irragionevolezza e la mancanza di proporzionalità di una scelta legislativa che faccia conseguire alla mera condanna per un delitto di modesta entità – a cui non segue neppure un’ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza di reato – la preclusione automatica ai benefici di legge in materia di titoli di soggiorno sul territorio nazionale. Sulla scia di tali sentenze, si è posto allora il problema se altri automatismi connessi alla commissione di fattispecie penali lievi ma considerate ostative non debbano seguire la stessa sorte del reato di spaccio di lieve entità. L’attenzione si è in particolare appuntata sulla modalità concreta della condotta tenuta dal soggetto condannato, posto che ci sono alcuni reati (tra cui i maltrattamenti e lo stalking) in cui le situazioni possono essere tra di loro diversissime e conseguentemente portare a pene molto differenti. Nel caso affrontato dal TAR Milano e che qui si commenta, la difesa dello straniero ha messo in discussione la scelta del legislatore di sancire il diniego all’istanza di emersione del lavoro irregolare sulla sola base di una condanna per un fatto lieve di stalking . Il Giudice adito ha però respinto questa impostazione – che avrebbe dovuto condurre, in teoria, ad un nuovo giudizio dinanzi alla Corte costituzionale –, in quanto il reato normativamente considerato, nel caso di specie, come automaticamente ostativo ad un esito favorevole della procedura di “sanatoria” (reato di cui all’art. 612-bis c.p.) è stato oggetto, nell’ordinamento penale, di valutazione astratta unitaria , anche se in concreto può portare, in relazione alla oggettiva gravità della condotta, all’applicazione di pene finali tra di loro molto differenti. D’altra parte, non è stata ritenuta di per sé irragionevole la scelta del legislatore di escludere automaticamente la sanabilità della posizione di irregolarità nel Paese di un soggetto che è stato condannato per un reato suscettibile, se portato alle estreme conseguenze, di ledere irrimediabilmente beni costituzionalmente protetti al massimo livello, quali la libertà e l’incolumità personale. Inoltre, afferma sempre il Giudice meneghino, “ il delitto di atti persecutori, a differenza della “spaccio lieve”, comporta sempre l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza di reato ”. Si tratta, in altri termini, di una fattispecie e di una soluzione legislativa diversa da quella già scrutinata e “bocciata” in due distinte occasioni dalla Corte costituzionale. Resta peraltro sullo sfondo, in quanto non specificamente affrontata dal TAR (che pure ha tenuto implicitamente distinte, quanto ad effetti concreti, le fattispecie di rinnovo di permesso di soggiorno da quello di domanda in sanatoria), l’ulteriore questione dell’eventuale contrasto della norma nazionale primaria con il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU , sotto il profilo della “protezione della vita privata”. D’altra parte, l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale e convenzionale in tema di proporzionalità si è sviluppata proprio e in particolare con riguardo all’art. 8 CEDU, e la Corte costituzionale, nel superare la precedente pronuncia del 2008, con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 5, comma 5 del d.lgs. n. 286 del 1998, in connessione con la preclusione derivante dal reato di spaccio di lieve entità, ha evidenziato che “ l’interesse dello Stato alla sicurezza e all’ordine pubblico non subisce alcun pregiudizio dalla sola circostanza che l’autorità amministrativa operi, in presenza di una condanna per il reato di cui si tratta, un apprezzamento concreto della situazione personale dell’interessato, a sua volta soggetto all’eventuale sindacato di legittimità operato dal giudice ”.
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