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Assunzione dei debiti tributari ereditari e successione

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • apr 06, 2022

Cassazione Civile, Sez. V, 22 marzo 2022, n. 9186


L’art. 752 c.c. prevede che “i coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto”. L’art. 754 c.c. dispone che “gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione della loro quota ereditaria”. E l’art. 1295 c.c. sancisce che, “salvo patto contrario, l’obbligazione si divide tra gli eredi di uno dei condebitori o di uno dei creditori in solido, in proporzione delle rispettive quote”.

Per costante giurisprudenza queste disposizioni – ossia la regola comune della ripartizione dei debiti ereditari pro quota – sono applicabili, in mancanza di norme speciali derogatrici, anche ai debiti ereditari di natura tributaria (Cass. civ., sez. V, 22.10.2014, n. 22426).

Ma, ai fini dell’assunzione della qualità di erede, non è sufficiente la mera chiamata all’eredità né la presentazione della denuncia di successione, che è un atto di natura meramente fiscale.

La qualità di erede si consegue solo con l’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del successore del de cuius. Sul tema, sono risalenti e costanti le pronunce che affermano che la delazione dell’eredità – l’offerta a succedere al soggetto designato – non è da sola sufficiente per far sì che l’interessato acquisti la qualità di erede in quanto, per tale effetto, “è necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante ‘aditio’, oppure per effetto di ‘pro erede gestio’, oppure per la ricorrenza della condizioni di cui all’articolo 485 c.c.” che disciplina gli adempimenti del chiamato all’eredità che è nel possesso di beni (Cass. civ., sez. II, 6.5.2002, n. 6479), oppure, ancora, un comportamento oggettivo di acquiescenza (Cass. civ., sez. VI, 6.3.2018, n. 5247).

All’opposto, non costituisce accettazione dell’eredità la presentazione della dichiarazione di successione perché le formalità stabilite dall’art. 28 (sulla dichiarazione della successione) del d.P.R. n. 346 del 1990 hanno la funzione di mera “pubblicità notizia” e non presentano natura costitutiva o integrativa del diritto, o della rinuncia allo stesso (Cass. civ., sez. V, 29.3.2017, n. 8053).

E dell’avvenuta assunzione della qualità di erede deve darne prova l’Amministrazione finanziaria, ei qui dicit non ei qui negat, secondo i generali principi in tema di onere della prova dettati dall’art. 2697 c.c..

Con la sentenza qui segnalata la Corte di Cassazione non solo ha ribadito i riportati principi ma ne ha fatto applicazione in una vicenda in cui i contribuenti erano stati pretermessi dal testamento del congiunto, lo avevano impugnato e anche introdotto l’azione di riduzione previa accettazione con beneficio d’inventario (ai sensi dell’art. 564 c.c.).

Ebbene, la Corte ha dapprima osservato che i soli fatti della morte del de cuius e dell’apertura della successione non presentano rilevanza giuridica ai fine dell’individuazione degli eredi e che, in concreto, non vi era alcuna prova circa l’avvenuta accettazione dell’eredità, e ha poi affermato che “il legittimario acquista la qualità di chiamato all’eredità solo al momento della sentenza che accoglie la domanda di riduzione”.

Per cui, in definitiva, i contribuenti ricorrenti non potevano considerarsi soggetti passivi d’imposta.

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