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Associazioni, delibere e modifiche statutarie. Il caso “Cinque Stelle”

feb 21, 2022

Tribunale di Napoli – Settima Sezione Civile, ordinanza del 3 febbraio 2022 nel ricorso n. r.g. 21817/2021


IL CASO E LA DECISIONE

Il 3 agosto del 2021 l’assemblea degli iscritti all’Associazione MOVIMENTO 5 STELLE ha deliberato la modifica dello statuto associativo.

Il successivo 5 agosto 2022, sulla base delle modifiche appena approvate, è stato nominato il Presidente dell’ente, nella persona dell’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Contestualmente, a seguito della modifica statutaria, il Presidente dell’Associazione è divenuto un vero e proprio organo – dotato di poteri e competenze autonome – e l’automatica esclusione della partecipazione degli iscritti da meno di sei mesi, prima prevista soltanto per le “consultazioni” di cui all’art. 4 del vecchio statuto, è stata estesa anche alle assemblee dell’associazione, senza più la necessità che ciò fosse disposto ad hoc sulla base di un regolamento adottato dal comitato di garanzia su proposta del comitato direttivo.

Tre iscritti del “movimento” hanno tuttavia impugnato e chiesto la sospensione delle sopra citate deliberazioni di modifica dello Statuto in data 2/3 agosto 2021 e di nomina del Presidente in data 5/6 agosto 2021, ai sensi dell’art. 23 del codice civile.

Secondo i ricorrenti, l’assemblea del 3 agosto 2021 era stata erroneamente indetta, con l’esclusione dall’assemblea stessa degli iscritti da meno di 6 mesi.

Tale esclusione era avvenuta sulla base dell’art. 4, lett. c) dello statuto all’epoca vigente, che avrebbe però disciplinato, come visto, le modalità di effettuazione delle “consultazioni” e non delle assemblee degli iscritti dell’associazione.

L’esclusione degli iscritti da meno di sei mesi dall’assemblea, in effetti, statuto alla mano, avrebbe potuto essere deliberata, in quel frangente, e prima delle modifiche, soltanto sulla base di un “regolamento adottato dal Comitato di Garanzia, su proposta del Comitato direttivo”, di cui non vi era traccia negli atti processuali.

Il Giudice di merito adito, in sede cautelare, non ha accolto la domanda di sospensione delle delibere impugnate.

In fase di reclamo, peraltro, il Tribunale di Napoli – stavolta in composizione collegiale – ha dato ragione ai ricorrenti, aderendo alla loro interpretazione giuridica, e pervenendo alla conclusione che la delibera assembleare di modifica dello statuto dell’Associazione MOVIMENTO 5 STELLE del 3 agosto 2021 sia stata adottata in assenza del quorum richiesto dalla disciplina applicabile ratione temporis.

A quell’epoca – prima cioè dell’approvazione delle modifiche allo statuto associativo - per escludere dalla partecipazione assembleare gli iscritti da meno di sei mesi occorreva, come visto, l’adozione di un apposito regolamento, e tale ipotesi di esclusione non avrebbe potuto dunque essere assimilata a quella “automatica” di cui all’art. 4, prevista per le consultazioni, anche perché, in seguito, la suddetta assimilazione ha avuto necessità di un’espressa modifica statutaria, con l’introduzione del nuovo art. 10. Nello statuto così modificato, invero, è prevista per le assemblee dell’associazione resistente l’automatica esclusione della partecipazione degli iscritti da meno di sei mesi, analogamente a quanto disposto per le “consultazioni” (di cui all’art. 4 del vecchio statuto), e non vi è più la necessità che ciò sia disposto sulla base di un regolamento adottato dal comitato di garanzia su proposta del comitato direttivo.

Secondo il Tribunale, l’illegittima restrizione dalla platea dei partecipanti all’assemblea del 3 agosto 2021 (con l'esclusione degli iscritti all’associazione MOVIMENTO 5 STELLE da meno di sei mesi) ha determinato l’alterazione del quorum assembleare nella deliberazione di modifica del proprio statuto, in quanto tale delibera risulta adottata sulla base di un’assemblea formata da soli 113.894 iscritti in luogo dei 195.387 associati iscritti a quella data.

Vi è dunque stata un’illegittima esclusione di 81.839 iscritti all’ente dal quorum costitutivo e deliberativo, numero che peraltro è risultato maggiore di quello degli associati che hanno poi partecipato all’assemblea.

La partecipazione di un numero di iscritti inferiore a quello richiesto in prima convocazione (metà più uno) determina dunque, secondo il Giudice adito, la violazione delle disposizioni contenute nello statuto dell’associazione e dunque, ai sensi dell’art. 23 c.c., il possibile annullamento, su domanda di qualunque associato, della relativa deliberazione.

L’invalidità della delibera della modifica statutaria ricade a sua volta negativamente sulla legittimità della delibera del 5 agosto 2021 con cui è stato nominato il presidente dell’ente, figura che prima della modifica invalida neppure esisteva.

Considerando peraltro la fase in cui si è trovato a doversi pronunciare (cautelare e non di merito), il Tribunale partenopeo ha dovuto verificare anche se sussistessero i “gravi motivi” che ai sensi dell’art. 23 c.c. giustificano la sospensione cautelare degli atti impugnati.

La risposta è stata positiva.

Secondo i giudici, la persistente efficacia della delibera che ha illegittimamente modificato l'ordinamento dell’associazione, così come la permanenza in carica di un organo invalidamente nominato, comportano dei pregiudizi molto rilevanti per la stabilità della stessa organizzazione associativa.

E la convergenza dell’interesse degli associati con l’istituzionale interesse dell’associazione al suo regolare funzionamento, ivi incluso il rispetto delle regole statutarie che nel loro insieme ne sovraintendono la forma, lo scopo e l’agire, deve considerarsi prevalente rispetto ad un presunto interesse alla “attuale” stabilità dell’ente, specie se ciò si fonda, come nel caso di specie, su comportamenti che risultano contrari alle regole che fondano l’esistenza stessa dell’associazione.


LA NORMA INVOCATA. RIFLESSI SOSTANZIALI E PROCESSUALI

L’art. 23 del codice civile – norma dettata in materia di impugnazione degli atti di fondazioni e associazioni -, così dispone:

Le deliberazioni dell'assemblea contrarie alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto possono essere annullate su istanza degli organi dell'ente, di qualunque associato o del pubblico ministero.

L'annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima.

Il presidente del tribunale o il giudice istruttore, sentiti gli amministratori dell'associazione, può sospendere, su istanza di colui che ha proposto l'impugnazione, l'esecuzione della delibera impugnata, quando sussistono gravi motivi. Il decreto di sospensione deve essere motivato ed è notificato agli amministratori.

L'esecuzione delle deliberazioni contrarie all'ordine pubblico o al buon costume può essere sospesa anche dall'autorità governativa”.

Sebbene la norma richiamata faccia riferimento alle deliberazioni dell'assemblea, dottrina e giurisprudenza sono consolidate nel ritenere ammissibile l'impugnazione di delibere anche di organi diversi dall'assemblea, allorché siano tali da incidere sulla struttura e sull'ordinamento della associazione o sui diritti degli associati.

Altro principio consolidato è quello in forza del quale le decisioni dell'assemblea e degli altri organi di un'associazione possono essere annullate nei limiti di motivi di legittimità (contrarietà alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto) e non di merito, al fine di impedire ingerenze nell'esercizio del diritto di liberamente associarsi.

Invero, la disciplina dell'annullamento di cui all'art. 23 c.c. si ritiene frutto di una scelta legislativa di conversione delle cause di nullità in cause di annullabilità per salvaguardare la volontà della maggioranza assembleare e degli altri organi dell'associazione, fatte salve le ipotesi di delibere che, per vizi talmente gravi da privare l'atto dei requisiti minimi essenziali, siano affette da radicale nullità od inesistenza, denunciabile in ogni tempo, da qualsiasi interessato.

Quanto al profilo della legitimatio ad causam, l'art. 23 c.c., comma 1, in tema di associazioni, attribuisce tale legittimazione ad un numero limitato di soggetti, tra i quali non rientra l'associazione stessa.

Sotto questo profilo, la disciplina risulta sostanzialmente analoga a quanto era previsto dall'art. 2377 c.c. - nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 - che prevedeva in ambito societario al comma 1 che "Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e dal collegio sindacale."

In relazione all'ambito societario, è stato chiarito che "L'art. 2377 c.c. (anche nel testo anteriore alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 6 del 2003) non annovera tra i soggetti legittimati all'impugnazione di una deliberazione assembleare la società dalla quale tale deliberazione promana, attribuendo tale norma la legittimazione, oltre che ai soci assenti o dissenzienti, agli amministratori o ai sindaci della società stessa. La società è legittimata passiva nel giudizio di impugnazione, proprio perché da essa promana la manifestazione di volontà che è oggetto dell'impugnazione, e sarebbe quindi inammissibile attribuirle la legittimazione ad insorgere giudizialmente contro la sua stessa volontà" (Cass. n. 17060 del 05/10/2012).

Tale principio, sempre secondo la Cassazione, trova applicazione anche in tema di associazioni, in quanto l'art. 23 c.c. non annovera tra i soggetti legittimati all'impugnazione di una deliberazione assembleare l'associazione dalla quale tale deliberazione promana, attribuendo tale norma la legittimazione, oltre che a qualunque associato, agli organi dell'ente stesso ed al pubblico ministero. E questo, perché l'associazione è legittimata passiva nel giudizio di impugnazione, proprio perché da essa promana la manifestazione di volontà che è oggetto dell'impugnazione, e sarebbe quindi inammissibile attribuirle la legittimazione ad insorgere giudizialmente contro la sua stessa volontà.

Ciò non toglie, peraltro, che, come nel caso esaminato dal Tribunale di Napoli, l’elemento che risulta condizionante l’impugnazione delle delibere dell’associazione che violano lo statuto ai sensi dell’art. 23 c.c. da parte di “qualunque” associato non è l’interesse del singolo associato ovvero un suo particolare pregiudizio conseguente all’adozione della delibera, bensì l’interesse dell'associazione al suo regolare funzionamento, di cui il singolo associato si fa “strumento”.

In effetti, laddove vi siano violazioni dello statuto, ciascun partecipante all’ente avrà il diritto di reagire alle delibere che ne sono il frutto in quanto ciò rappresenta, appunto, l’interesse della stessa associazione.

Anche sotto un diverso profilo, più squisitamente processuale, la centralità nella norma de qua dell’associazione e del suo regolare funzionamento dovrebbe condizionare in modo decisivo la competenza territoriale del Giudice dell’impugnazione, radicandola - come ordinariamente previsto - presso la sede dell’associazione stessa.

Tuttavia, nel caso esaminato dal Tribunale partenopeo, la questione della competenza territoriale della causa di merito non ha avuto rilievo, in quanto si trattava di giudizio cautelare proposto in corso di causa.

Premesso che le regole contenute negli artt. 669 bis e ss. c.p.c. si applicano a tutti i provvedimenti cautelari in modo generale, ivi compresi quelli contenuti nelle leggi speciali e nel codice civile – e dunque anche all’ipotesi di domanda di sospensione delle delibere impugnate ex art. 23 c.c.. -, quando la domanda cautelare è proposta in corso di causa, competente a conoscerla può essere soltanto il giudice dinanzi al quale – di fatto - pende la causa di merito.

La norma citata individua infatti la competenza “per relationem”, a prescindere dal fatto che la competenza territoriale venga poi disattesa nella causa di merito, e con unico riferimento alla “attuale” investitura del giudice della causa di merito.

D’altra parte, il provvedimento cautelare non perde efficacia nel caso di dichiarazione di incompetenza da parte del giudice del merito, cui faccia seguito la tempestiva riassunzione.


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