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Ammissibilità del ricorso collettivo e cumulativo nel processo tributario

Alma Chiettini • set 14, 2023

Cass. Civile, Sez. V, 31 agosto 2023, n. 25549


Con un significativo revirement la Corte di cassazione in commento ha dichiarato “ingiustificatamente restrittivo” l’orientamento espresso in precedenza, secondo cui “nel processo tributario non è ammissibile la proposizione di un ricorso collettivo (proposto da più parti) e cumulativo (proposto nei confronti di più atti impugnabili) da parte di una pluralità di contribuenti titolari di distinti rapporti giuridici d’imposta, ancorché gli stessi muovano identiche contestazioni, in quanto in tale giudizio, a natura precipuamente impugnatoria, la necessità di uno specifico e concreto nesso tra l’atto impositivo che forma oggetto del ricorso e la contestazione del ricorrente, così come richiesto dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, impone, indefettibilmente, che tra le cause intercorrano questioni comuni non solo in diritto ma anche in fatto e che esse non siano soltanto uguali in astratto ma attengano altresì ad un identico fatto storico da cui siano determinate le impugnazioni dei contribuenti con la conseguente virtuale possibilità di un contrasto di giudicati in caso di decisione non unitaria” (sentenza 30 aprile 2010, n. 10578).

In quell’occasione era stata pertanto dichiarata legittima la pronuncia di inammissibilità di un ricorso cumulativo proposto da una pluralità di liberi professionisti con attività e organizzazione lavorativa differente, avverso il silenzio rifiuto formatosi sulle singole domande di rimborso dell’IRAP fondate sull’assenza di un’attività autonomamente organizzata, con conseguente assunto di “inammissibilità nel processo tributario di un ricorso cumulativo da parte di più contribuenti, non fondato su fatti storici identici”.

In applicazione di quella giurisprudenza, e in altro contenzioso, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado ha confermato la sentenza di primo grado impugnata che aveva dichiarato inammissibile un ricorso cumulativo proposto da una pluralità di contribuenti avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulle rispettive istanze di rimborso delle imposte versate per il triennio 1990/92, in applicazione dell’art. 9, comma 17, della l. n. 289 del 2002 (definizione per soggetti residenti in alcune province siciliane colpite dal sisma del 1990).

Col ricorso per cassazione gli interessati hanno quindi dedotto la violazione dell’art. 103 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, dal momento che le domande veicolate con l’unico ricorso avrebbero implicato la soluzione di identiche questioni di diritto.

La Corte ha principiato l’esame della questione osservando che già nel 2016 (in una causa che vedeva diversi contribuenti contestare alcune cartelle di pagamento emesse per il pagamento del canone televisivo) aveva rilevato che il d.lgs. n. 546 del 1992 non contiene alcuna disposizione sul cumulo dei ricorsi ma che all’art. 1, comma 2, rinvia al codice di procedura civile per quanto non disposto e nei limiti della compatibilità, di modo che è da ritenersi applicabile l’art. 103 c.p.c. in tema di litisconsorzio facoltativo.

In quell'occasione, i Giudici di ultimo grado avevano dichiarato “ammissibile la proposizione di un ricorso congiunto da parte di più soggetti, anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa” (sentenza 20 aprile 2016, n. 7940).

La Corte di cassazione ha quindi puntualizzato che l’art. 103 c.p.c. contempla, quali presupposti del litisconsorzio facoltativo, la “connessione per l’oggetto o per il titolo”, ovvero la circostanza che “la decisione dipend[a], totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni”. E ha quindi evidenziato che già sulla base del mero rilievo letterale della disposizione - che, oltre alla “connessione”, fa riferimento alla “identità di questioni giuridiche” - l’orientamento espresso in passato era da ritenersi “ingiustificatamente restrittivo” e finiva per “circoscrivere arbitrariamente il campo d’applicazione della norma processuale” senza trovare alcuna giustificazione nelle peculiarità del processo tributario.

Ha conseguentemente osservato che:

- la diversità del fatto storico è compatibile con il rapporto di connessione presupposto dall’art. 103 c.p.c. se il rapporto si integra sia sotto il profilo del petitum sia per quello della causa petendi;

- depone, infine, per “l’opportunità di discostarsi da un’interpretazione eccessivamente formalistica, da un lato, il principio (di economia processuale e) di ragionevole durata del processo (affermato dagli artt. 111 Cost. e 6 CEDU) ed il favor per l’interpretazione delle norme processuali che consenta quanto più possibile al giudizio di attingere il merito della lite; dall’altro, la previsione della possibilità, per il giudice, di separare comunque successivamente le cause originariamente cumulate, nel caso in cui il simultaneus processus finisca per tradursi, in concreto, in un aggravio di tempi e costi (art. 103, comma 2, c.p.c.)”.




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